Algoritmi, machine learning, IA & Co.

A proposito del test CancerSEEK per le “biopsie liquide” – analisi che nel sangue identificano proteine e DNA provenienti da cellule tumorali – alcuni quotidiani hanno parlato di risultati “universali” e certi. Il test sembra molto più affidabile dei precedenti, nel senso che i falsi positivi sono pochissimi e che trova i marcatori del tumore alle ovaie nel 98% dei casi. Ma la percentuale cala per gli altri sette tumori e per il tumore al seno scende al 33% dei casi.

Nel loro paper  su Science, Joshua Cohen et al. sono più cauti, sanno che 16 geni e 8 proteine sono un po’ pochi anche per un algoritmo fatto per eliminare i “diminishing returns”.  Presentazione e com. stampa.

L’analisi – nella quale confluiscono i brevetti di parecchi autori o delle loro start-up  – è affidata a un algoritmo ottenuto con il machine learning. Interessi economici a parte, il refrain resta “servono altre ricerche” e, preferibilmente, data-set verificati e corretti da un “Error sleuth” competente.

*

Su Science Advances il giorno prima, Julia Dressel e Hany Farid pubblicavano “The accuracy, fairness, and limits of predicting recidivism“. Hanno verificato le prestazioni di COMPAS, il sistema venduto da Equivant a forze dell’ordine e tribunali di varie città statunitensi, e parecchio criticato da ProPubblica e altre Ong. L’algoritmo – ottenuto con il machine learning e basato su 137 caratteristiche – dovrebbe prevedere più accuratamente dei magistrati se un condannato per qualche reato verrà riarrestato per averne commesso un altro entro due anni e quindi se va tenuto in carcere in attesa di giudizio o lasciato libero dietro pagamento. Finora COMPAS prevede correttamente il 65,2% delle recidive (in media nazionale sono il 45%, con enormi differenze da una “contea” all’altra).

Altro che diminishing returns…

Con 4 caratteristiche – sesso, età, precedenti condanne e la nuova accusa – persone senza particolari competenze prevedono correttamente le recidive al 66,5%, e l’algoritmo di Dressel & Farid basato solo su età e numero di precedenti condanne al 70%. Forse perché la macchina ha “imparato” da un data-base di una singola contea che i due autori hanno verificato?
Inutile dirlo, Equivant protesta – rif. anche The Verge e larticolo di Catherine Matacic su Science.

 *

Anni fa su richiesta dei detenuti ero andata al carcere di Opera per discutere di un po’ di libri sull’evoluzione genetica e culturale. Un detenuto aveva perso l’odorato per via di una pallottola in testa, richiamava facilmente l’immagine di una rosa o di una tanica di benzina, ma l’odore proprio non “gli veniva in mente”. Nella discussione, era venuto fuori che per denotare gli odori ci arrangiamo con pochi aggettivi, che spesso denotano sapori, e molte analogie personali – la madeleine di Proust – che agli altri non evocano nulla. Eravamo invece d’accordo sul fatto che usiamo molti termini per denotare i colori senza far confusione, daltonici a parte: un giallo non è un blu e un verde Nilo non è un verde smeraldo.

L’ipotesi prevalente era (è tuttora, mi sembra) che nel corso dell’evoluzione abbiamo perso l’organo vomero-nasale e i circa 350 geni “per” i recettori delle molecole odorifere sono stati destinati ad altri sensi.

Su Current Biology, Asifa Majid e Nicole Kruspe propendono per quello della vista. Raccontano esperimenti con due gruppi della penisola malese che appartengono alla cultura Semang e parlano lingue imparentate. I Semaq Beri sono cacciatori-raccoglitori, i Semelai coltivano il riso e commerciano un po’ di frutta e verdura raccolta nella foresta.

Davanti a 80 cartine e altrettanti colori, e 16 cartine dai profumi (13 sapori, in realtà) per loro esotici – arancio, cuoio, cannella, menta, banana, limone, liquirizia, trementina, aglio, caffè, mela, chiodo di garofano, ananas, rosa, anice e pesce – i Semaq Beri nominano colori e odori con la stessa facilità dei Jahai studiati in precedenza dalle autrici e che sembrano detenere il record di termini odorosi ( rif. la bibliografia). I Semelai sono più bravi per i colori e più scarsi per gli odori, esattamente come gli anglofoni:

Hunter-gatherers have been found to have some of the simplest color lexicons, often only making a basic distinction between “black,” “white,” and possibly “red,” with additional terms being added with increasing cultural complexity  Could the inverse hold for smell? Further data is required to know definitively one way or the other, but there is some tantalizing evidence already.

Forse i Jahai e i Semaq Beri hanno ancora l’organo vomero-nasale e i suoi geni in attività?

Com. stampa del Max Planck Institute for Psycholinguistics, h/t un articolo dell’Economist – raccomando anche quello sull’evoluzione del parassitismo di cova fra i cuculi e sulla termodinamica del guscio d’uovo, a proposito di questo paper di Science of Nature – non in open access, purtroppo.

***

Su PLoS One, due ricercatori dell’università dell’Alberta “consulenti” della Thonix Pharmaceuticals Ltd e il suo titolare descrivono come hanno costruito con Dna di sintesi un virus uguale a quello del vaiolo e in vitro altrettanto infettivo, per il quale hanno chiesto il brevetto in novembre. L’azienda l’aveva annunciato in marzo. I critici si chiedono perché”, scrive ora Kai Kupferschmidt. Risposta nel com. stampa e qui: potrebbe contribuire a produrre un vaccino più efficace.

Contro una malattia che non c’è più da decenni, non ha molto senso – secondo me.

*

La rivista Sensors ha cancellato 

a planned special issue on biosensors due to the fake credentials and alleged fraud associated with its guest editor, Ashutosh Tiwari

docente fino al 2015 e collaboratore fino a pochi mesi fa dell’università svedese di Linköping. Per le false credenziali e le frodi rimando agli articoli di For better science e alle critiche su PubPeer. Prima di chiudersi nel silenzio stampa, Tiwari aveva detto alla stampa svedese di sentirsi vittima di una congiura.
Secondo un suo co-autore anonimo sarebbe ordita da un anonimo sotto i nick di Leonid Schneider, Smut Clyde e vegetali vari (questi su PubPeer).

Smut Clyde ha notizie sulle socie di Marco “yogurt” Ruggiero nella ciarlataneria del Gmaf, adesso organizzano anche marce anti-vax.

***

Debunking voodoo correlations in social sciences

Hans IJzerman, dell’università di Grenoble, e decine di colleghi ai quali i pregiudizi piacciono poco, non hanno apprezzato il modello CLASH di Paul Van Lange et al. dell’università di Amsterdam secondo il quale le teste calde, i comportamenti aggressivi, il delitto d’onore (sic) ecc. ecc. aumentano insieme alla vicinanza all’Equatore e ai cambiamenti climatici – pubblicato nel 2017 su Behavioral and Brain Sciences e in versione più breve qui.

Demoliscono il modello anche su PsyArXiv, per chi non ha accesso a Behavioral and Brain Sciences:

Van Lange et al. (in press) formulated a theoretical model where they proposed climate as a predictor of self-control (and aggressive behavior). We comment on the proposition “that lower temperatures and especially greater seasonal variation in temperature calls for individuals and societies to adopt…a greater degree of self-control”, which they argue to be due to a slower life history strategy. In developing their theoretical position, the authors propose distance from the equator as a predictor for self-control. They advocated a “data-driven” approach, “allowing one to derive precise estimates of the variance accounted for by various predictor variables”.

In our Human Penguin Project (https://osf.io/2rm5b/), we collected latitude, self-control, and a variety of important social predictors from 14 countries with varying distances from the Equator.

Guarda caso, l’approccio data-driven smentisce sia l’ipotesi che le previsioni del modello CLASH.
h/t Neuroskeptic

2 commenti

  1. E questo sarebbe un blog scientifico ?
    Guardate solo E.K.Hornbeck che ingurgita litri di vino

I commenti sono chiusi.