La genetica del reddito

M’è venuta la sindrome “Quando leggo la sigla GWAS, tiro fuori la pistola ad acqua”. Premesse:

  • si stima che dei 19- 22 mila geni umani, circa il 15-18 mila contribuiscano all’attività cerebrale
  • la quale contribuisce a tutto quello che siamo e facciamo;
  • GWAS sta per gli Studi associativi sull’intero genoma. Con algoritmi e statistiche frequentiste*, alle varianti (alleli) di decine, centinaia e volendo migliaia di geni associano la probabilità di determinate caratteristiche del fenotipo e delle sue interazioni con l’ambiente: dalla suscettibilità a certe patologie alle facoltà cognitive nelle loro più svariate definizioni e associazioni, dai voti a scuola al successo nella carriera e negli affari.

E’ l’idea molto antica del “ce l’ha nel sangue”, “è fatto/a così”, “con i genitori che si ritrova” e altre forme popolari di determinismo genetico. Non è del tutto sbagliata: il fenotipo dipende dal genotipo e le espressioni della nostra “natura” biologica dipendono dalla “cultura”,  dal nostro ambiente economico e sociale.

Ma proprio perché quegli alleli sono ereditabili, si usano da sempre per discriminare, per sostenere che certe popolazioni sono superiori o inferiori per natura. A quelle superiori, da un secolo a questa parte scienziati di svariate discipline –  oggi i genetisti dell’intelligenza e del successo e gli psicologi à la Robert Plomin – propongono ai politici di gestire quelle inferiori con provvedimenti che vanno dall’eugenetica agli insegnanti di sostegno riservati a certi genotipi.

Un successo c’è di sicuro: aumentano i venditori di apposite analisi del DNA.
In questo contesto, Ian Deary e 16 collaboratori tra cui il determinista del successo Stuart Richtie*, hanno pubblicato su BioXiv il preprint intitolato:

Sorvolo su 30 pagine di correlazioni al cubo e ragionamenti circolari che giustificherebbero questa conclusione:

  • Differenze significative tra le correlazioni genetiche indicano che le varianti genetiche associate al reddito sono più collegate alla salute mentale di quelle collegate al successo negli studi. Infine siamo riusciti a prevedere una differenza di reddito del 2,5% utilizzando unicamente i dati genetici di un campione indipendente. Questi risultati sono importanti per capire le disuguaglianze economiche osservate oggi in Gran Bretagna. 

Ma va?

Associazioni mie
* A proposito dell’ennesimo appello ad abbandonare la significatività statistica dei valori p, uscito su Nature un paio di settimane fa Sul JAMA giovedì scorso, John Ioannidis era d’accordo solo in parte. Ben vengano scetticismo e rigore, scrive, ma con l’acqua del bagnetto si rischia di buttar via sia i valori p minuscoli che i grandi fattori bayesiani:

  • Some fields of investigation are richer than others in effects remaining to be discovered. Moreover, some fields have several effects large enough to discover and act on, whereas others struggle with mostly tiny effect sizes. The latter scenario is becoming more common. For example, tens of thousands of genome-wide significant associations have emerged for hundreds of different phenotypes, but the vast majority explain less than 0.05% of the variance of the trait of interest. Some fields that claim to work with large, actionable effects (eg, nutritional epidemiology) may simply have larger, uncontrolled biases.

Tradotto: attenti al contesto, cribbio!

** Questo paper mi pare un altro caso di GIGO.
(h/t Sophien Kamoun et al.)

2 commenti

I commenti sono chiusi.