Gli alberi della discordia

“Flattery will get you anywhere”, lettori miei, figurarsi se non dico la mia sul paper di Jean-François Bastin del Crowther Lab all’ETH di Zurigo et al. tra cui Tom Crowther, parecchio criticato da quando è uscito l’altro ieri su Science

The global tree restoration potential – pdf gratis  com. stampa

Ci sono state repliche all’articolo un po’ sopra le righe del Guardian, e questa discussione merita, anche perché è beneducata.

Premessa
Nelle riviste che leggo, la riforestazione – altri link a richiesta – è tornata un hot topic come nel 2008, quando agenzie dell’Onu avevano partorito il programma Reducing Emissions from Deforestation and Forest Degradation in Developing Countries, detto REDD. Per farla breve, la Norvegia e una manciata di paesi ricchi, firmatari del protocollo di Kyoto, pagavano quelli poveri per fermare la deforestazione. Ormai li pagano per ospitare conferenze sul da farsi.

REDD ha prodotto un monitoraggio meno soggettivo, per così dire, ma non ha ridotto né le emissioni né il degrado. Invece la corruzione ha ridotto i finanziamenti. Ai poveri, REDD doveva anche fornire mezzi di sussistenza alternativi: non è successo.

Con il Bonn Challenge 58 paesi si sono impegnati a restaurare 170 milioni di ettari di foresta entro il 2030. Altri impegni dovrebbero arrivare nelle prossime tappe dell’Accordo di Parigi.

In attesa dei famosi impianti di “carbon capture”, della carbon tax o del carbonio a $250-500/tonn., piantare alberi è una scelta obbligata se si vuol tentare di limitare il riscaldamento globale a 2° C in più entro fine secolo.

Finora gli impegni sono andati come quelli di ridurre le emissioni di gas serra. Fra i Tropici molte foreste sono state abbattute e sostituite con piantagioni di palme da olio, cacao, caucciù. Con Bolsonaro la deforestazione dell’Amazzonia accelera; Trump regala ai petrolieri pezzi di parchi nazionali…

Fine premessa
Il paper di Bastin e colleghi è un primo tentativo, quindi bello a prescindere. Hanno usato dati satellitari e molta ricerca precedente – anche fatta grazie a REDD, va detto – per quantificare e mappare sui continenti la superficie restaurabile con specie decidue nei singoli paesi, quanto carbonio catturerebbe dalla CO2 atmosferica e quindi, implicitamente, il riscaldamento globale che eviterebbe.
Il tutto in base agli scenari di sviluppo economico (i soliti Representative Concentration Pathways usati per i modelli climatici) RCP 4.5 e RCP 8.5 inseriti dentro degli Earth System Models fatti a bambole russe.

Risultati
Con il clima attuale, identificano 1,6 miliardi di ettari in “ambienti favorevoli alla crescita” di alberi dalla chioma ampia (oltre a 2,8 miliardi già coperti da boschi e foreste). Nei 0,9 miliardi né coltivati né urbanizzati

  • oltre il 50% del potenziale restaurativo degli alberi si trova in soltanto sei paesi (in milioni di ettari: Russia, +151; United States, +103; Canada, +78,4; Australia, +58; Brazil, +49,7; e Cina, +40,2).

Buono a sapersi. Infatti non sono quelli a far discutere climatologi, ecologi, biogeografi e geo-sistemisti. Sanno che gli autori propongono uno strumento da provare e se funziona da migliorare. Non digeriscono la conclusione:

  • If these [0,9 miliardi di ettari] restored woodlands and forests were allowed to mature to a similar state of existing ecosystems in protected areas, they could store 205 GtC [sulle 300 di origine antropica aggiunte finora all’atmosfera]. Of course, the carbon capture associated with global restoration could not be instantaneous because it would take several decades for forests to reach maturity. […] This places ecosystem restoration as the most effective solution at our disposal to mitigate climate change.

Con i se… – e nel testo ce ne sono molti altri – son capaci tutti.

Il paper stima che, per cominciare, vanno piantati circa 500 miliardi di alberi innanzitutto alle latitudini fresche dell’emisfero nord. Ma la soluzione più efficace per mitigare il cambiamento climatico tra alcuni decenni (2050) è un po’ diversa: restaurare subito circa 1 miliardo di ettari per riportarne l’ecosistema allo stato di  “riserva protetta”. Suolo vivo, varietà di specie arboree, acque pulite, aria non inquinata, animali, insetti e magari guardie ecologiche…

Un primo problema è che i patogeni e gli insetti nocivi si sono già spostati a nord, così come le tempeste che spianano le foreste, gli incendi spontanei durante le ondate di calore. Altri problemi politici, economici e sociali a richiesta…

Nella loro Perspective, Robin Chazdon e Pedro Brancalion fanno notare che restaurare le foreste è

  • un meccanismo per raggiungere molteplici obiettivi: mitigazione climatica, conservazione della biodiversità, benefici socio-economici, sicurezza alimentare e servizi ecosistemici.

Indica anche le risorse necessarie perché i benefici superino i costi. Per esempio,

  • vanno usate le migliori informazioni spaziali disponibili per identificare le zone dove  gli esiti del restauro più benefici si incrociano con quelli più realizzabili. 

Se aggiungevano “al contrario di quanto è successo con REDD” si capiva meglio, secondo me.