Formaggio grattugiato e depressione climatica

Su Wired, “l’avvenente collega” Stefano Dalla Casa ricorda leggende metropolitane sulla plastica “dalle raccolte di tappi all’isola di rifiuti, dalle frodi alimentari alle protesi esplosive“. Conviene tenerle presenti ora che si discute e si investe su come rimediare all’inquinamento.

Non conoscevo quella sui manici di ombrello e bottoni sminuzzati che sarebbero stati venduti come formaggio grattugiato.

La descrizione corretta della Grande isola di plastica del Pacifico” farà digrignare parecchi denti:

  • Come spiega la Noaa, le chiazze di rifiuti (non solo quella del Pacifico) sono concentrazioni di detriti causate dai vortici oceanici. Sono costituite in maggioranza da microplastiche, e il problema si estende molto sotto la superficie, lungo tutta la colonna d’acqua. 

In particolari i denti di Boyan Slat, l’inventore di Ocean Cleanup, e dei suoi finanziatori. Sarebbe

  • il metodo di pulizia passiva che usa le forze oceaniche naturali per raccogliere rapidamente e con un efficace rapporto costi-benefici la plastica già negli oceani. Con una flotta completa di sistemi di pulizia della Grande isola di immondizia del Pacifico, miriamo a ripulirne fino al 50% della plastica ogni cinque anni.

Lungo la boma galleggiante, le “forze oceaniche naturali” riescono a concentrare le macro-plastiche (finora) fino a 10 metri dalla superficie. Come scrive Stefano,

  • Se vogliamo un’immagine  della situazione, non pensiamo a un’isola, ma a una zuppa di plastica.

(link aggiunto)
Ocean Cleanup raccoglie i crostini.

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“Climate doomism”

Da un paio d’anni alcuni scienziati, romanzieri e opinionisti ci raccontano quanto sono depressi. Nonostante il loro impegno, nessuno affronta la crisi climatica. Per la specie non c’è più speranza, finirà bollita come la rana. Quei signori parlano per sé, molti scienziati vedono le proprie parole sui cartelli portati in strada da milioni di ragazzini.

Non si sentono dei falliti, non adesso, non ancora.

Così da sabato, climatologi e affini si chiedono perché il New York Times li accusi di aver provocato il proprio fallimento pubblicando una “opinione” di Stephen Linden:

  • How scientists got climate change so wrong. Few thought it would arrive so quickly. Now we’re facing consequences once viewed as fringe scenarios.

Come tutti sanno, gli scienziati – della Exxon in particolare – avevano previsto correttamente il cambiamento climatico dello scenario “Avanti tutta con le emissioni di gas serra”. Come certi negaioli che fingono di arrendersi all’evidenza, Linden intona il refrain “adesso è troppo tardi, non ne usciremo mai senza atroci sacrifici”.

Il titolo acchiappa-click sembra dire “smettiamola di criticare i governanti in combutta con BigOil & Coal, sono stati disinformati”. Ma Linden è l’autore di un libro sugli impatti dei cambiamenti climatici, ne scriveva per il Time. I suoi reportage sulle catastrofi sarebbero rimasti inascoltati per colpa degli scienziati che le avevano annunciate?

O il New York Times ha notato che le “opinioni” di Brett Stephens sul clima scoraggiavano importanti inserzionisti?

Sotto i tweet dei debunker che proliferano da allora, qualcuno segnala che sono usciti anche degli articoli scientifici sulla sottovalutazione di certi cambiamenti climatici. Eh sì. Anche sulla loro sopravvalutazione. Normale “dialettica scientifica”.

E’ probabile, come scrivono Naomi Oreskes et al. in “Discerning Experts“, che gli scienziati siano più “conservatori” quando valutano collettivamente i margini di incertezza nelle loro proiezioni. Non solo nelle sintesi dei rapporti IPCC sul clima, ma anche in quelli dell’OMS sull’evoluzione della resistenza ai farmaci o sull’accumulo di certi inquinanti.

In parte è la conseguenza delle campagne per “manifatturare la controversia” commissionate ai “mercanti di dubbio”. Non a caso BigOil & Coal ha accusato Benjamin Santer, James Hansen, Stephen Schneider, Michael Mann, Thomas Karl et al. di truccare i dati per fare “scare-mongering”.

O per comprarsi la Ferrari con le bustarelle intascate da Ong ambientaliste.

Naomi Oreskes et al. citano la Penisola antartica occidentale che stava perdendo i pezzi, trascurata nel IV rapporto IPCC del 2007. (1) All’epoca i glaciologi non potevano quantificare la rapidità della sua disintegrazione. Erano nella trappola del “doppio legame etico” identificata da Schneider e hanno seguito il suo consiglio. Lo ricopio per l’ennesima volta non perché sono rimbambita – a debatable claim, I know – ma perché vale per anche per noi cronisti:

  • Da un lato, come scienziati siamo legati eticamente al metodo scientifico, in effetti promettiamo di dire la verità, tutta la verità e nient’altro che – il che significa che dobbiamo includere tutti i dubbi, i caveat, i se e i ma. Dall’altro, siamo non soltanto scienziati ma anche esseri umani. E come la maggior parte della gente, vorremmo che il mondo fosse un posto migliore: in questo contesto si traduce nel lavorare per ridurre i rischi di un cambiamento climatico potenzialmente disastroso. 
  • Per farlo, abbiamo bisogno di un sostegno con una base ampia, di catturare l’immaginazione del pubblico. E questo, ovviamente, vuol dire tanta copertura mediatica. Così dobbiamo offrire scenari spaventosi, fare affermazioni semplificate, clamorose, e menzionare pochi dei dubbi che possiamo avere.
  • Questo doppio legame etico in cui ci troviamo spesso non può essere risolto con una formula. Ognuno di noi deve decidere qual è il giusto equilibrio tra essere efficace ed essere onesto. Spero che significhi essere l’uno e l’altro. 

Se non si chiamavano Stephens, Steven e Stephen era meglio.
(1) A Book City, sabato 16 novembre ore 16.30 al Museo di Storia naturale in Corso Venezia a Milano, metro Palestro o Porta Venezia, c’è la presentazione di “Mercanti del dubbio” di Noami Oreskes ed Erik Conway, pubblicato da edizioni Ambiente.

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E mi lamento perché il Lancet ci mette dieci anni a ritrattare falsificazioni come quelle di Wakefield sul vaccino trivalente? L’International Journal of Neuroscience ritratta adesso quelle di Dmitrii Kutznetsov,  noto falsario ed eroe dei creazionisti e “sindonologi” italiani.
Erano uscite nel 1989 e denunciate nel 1994, 2002 (omissis) e 2013.

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Strumions and on and on and on…
Da luglio, la petizione scritta da un anonimo, da un certo Tom Todd (secondo il quale Alessandro Strumia avrebbe “deciso lui di lasciare CERN“, lol!) e da Yi-Zen Chu per reintegrare Strumia al CERN è riuscita a raccogliere 28 adesioni; 6 di affiliati a un’università di cui un italiano con barba post-doc ad Aarhus; e quella di un informatico con barba del CERN che si firma “Ms.”.

Il CERN ha oltre 2,5 mila dipendenti e circa 12 mila collaboratori. Strumia deve aver battuto il record mondiale di popolarità.

2 commenti

  1. Il giovane CEO di Oceancleanup ha fatto una grandissima furbata: ha dato ascolto a chi insisteva che interdire l’ingresso in mare della plastica fosse più utile che darle la caccia in mezzo al mare, ed ha inventato Interceptor [1]; ora lo studio un po’, e se mi piace gli faccio un bel panegirico.
    Nel frattempo il tubo galleggiante è operativo e, secondo The Guardian, “The plastic gathered so far will be brought to shore in December for recycling”, e quindi presto sapremo quanto bene funziona il sistema, e se ci sarà lavoro per un Web Reputation Agent di mia conoscenza.
    Saluti.
    N
    PS: sono in contatto psichico con una larva di cozza che si è incollata al Tubo mezzo minuto fa, sentisse Signora Oca i suoi gridolini di gioia! “Qui ci divento una cozza da un chilo”, gongola. E pensare che, non fosse per il Tubo, ora starebbe pian piano andando a fondo -sempre che non la mangiasse qualche animalaccio, naturalmente.
    ———–
    1: https://theoceancleanup.com/rivers/

    1. Nasturzio,
      perché interdire l’ingresso della plastica nei fiumi quando un Interceptor è capace di filtrarla tutta e nient’altro che quella prima che arrivi in mare?
      Se scrive il panegirico, lo pubblico volentieri
      sono in contatto psichico con una larva di cozza
      Ecco. Dovevano nominare lei nel comitatone del Mose.

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