Lavori in corso

Comincio da quelli per la decarbonizzazione. Su Climate Policy, Nicolas Gaulin e Philippe Le Billon dell’università della British Columbia riassumono e interpretano i dati del Fossil Fuel Cuts Database. Il secondo autore è un geopolitico dello sviluppo, noto nelle Ong per studi su risorse minerarie e conflitti.
(Un’anima compassionevole potrebbe suggerirne la lettura al “grande analista” prima che commetta un altro post, per favore?)

Si sono chiesti se gli interventi sull’offerta (supply-side) fossero più o meno efficaci di quelli sulla domanda nel vincolare/limitare la produzione di combustibili fossili. Per rispondere hanno raccolto “1302 iniziative” realizzate negli ultimi 30 anni in 106 paesi. Le hanno divise in “finanziarie” – crediti carbonio, disinvestimenti, carbon tax, eliminazione dei sussidi – e “materiali”: embargo, moratorie e divieti, cause legali.
La distribuzione geografica è nella figura 2, quella per paese e temporale nelle figure 1 a e b. In breve, gli Stati Uniti sono il paese che ha usato in assoluto più misure per intervenire sull’offerta, seguito a grande distanza da Canada, Gran Bretagna, Australia e – a sorpresa nei primi dieci – Nigeria.

Quanto a efficacia nel vincolare la produzione

  • 25 mercati di crediti carbonio ci sono riusciti un pochino tra il 2004 e il 2006
  • la carbon tax no, perché non l’ha adottata quasi nessuno
  • gli embarghi, cresciuti fino a 40 nel 2012 e poi calati
  • modestamente le cause legali in aumento dal 2000 e…
  • … le moratorie e i divieti in aumento dal 2010

L’effetto più spettacolare è quello dei disinvestimenti

  • Hanno avuto la crescita più veloce in termini di numero annuo di iniziative, passando da 181 istituzioni con $50 miliardi di fondi nel 2013 ad appena sopra un migliaio e $7,9 mila miliardi a fine 2018.

C’è stato un brusco calo degli impegni nel 2017 e un rimbalzo nel 2018.

  • I disinvestitori erano basati soprattutto in USA (40%), Regno Unito  (21%) e Australia (13%). In termini di fondi gestiti tuttavia, i principali erano in Norvegia ($981 miliardi) e in Francia ($843 miliardi). I disinvestimenti più numerosi sono stati decisi da organizzazioni religiose (32%), seguite da organizzazioni governative [fondi pensioni di stati americani e province canadesi più che altro] (entrambe 20%). 

L’Ong che guida la campagna per il disinvestimento

  • 350.org, mirava a $12 mila miliardi di impegni entro il 2020, che sarebbe l’equivalente del 15% dei fondi globali gestiti da istituzioni.

Mi sembra sulla buona strada, però un conto è non investire nelle estrazioni progettate, un altro togliere fonti a quelle in corso…
L’articolo è pieno di particolari interessanti, purtroppo non è in open access, ma se vi interessa sapete dove trovarmi.

Colpisce che in trent’anni i governi dei paesi ricchi, Germania a parte, non sono quasi mai intervenuti sull’offerta. Lo hanno fatto i paesi poveri, obtorto collo a volte, eliminando le sovvenzioni al consumo. Ci hanno pensato fondi d’investimento, fondazioni, chiese, grandi università,  indipendentemente dalle riserve fossili dei propri paesi, pungolate da Ong nazionali e internazionali.

“A livello sistemico” non sono abbastanza influenti per limitare il riscaldamento a 2 °C entro fine secolo come previsto dall’Accordo di Parigi, scrivono gli autori.

Morale: devono farlo anche i governi. Solo loro possono costringere i produttori di combustibili fossili a a formare “ampie coalizioni” (come 350. org, Bill McKibben docet…), rispettare gli stessi vincoli dappertutto invece di spostare altrove la loro produzione. E solo i governi possono aiutarli nella transizione alle energie pulite.
Un’anima pia raccomanderebbe la lettura di questa analisi al “grande analista” prima che ne commetta un’altra su un blog del Sole-24 Ore?

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Altri due lavori in corso
Il primo è proprio ben fatto. Con le mutazioni del Sars-Covid-2, la collaborazione Nextstrain aggiorna l’albero filogenetico di ogni genoma in ogni paese dove il virus è stato identificato e sequenziato. Sono già 146 genomi e per ora il tasso di mutazione ipotizzato sembra giustificato (h/t Luigi Moccia).
Gli alberi sono utilissimi per fare modelli epidemiologici o almeno quelli che ho visto, quasi tutti bayesiani.
E almeno nei paesi dove il presidente non dichiara che il virus è una bufala del partito all’opposizione, e il vice-presidente, il ministro degli Esteri, il porta-voce del Senato e la dirigente della ricerca virologica all’equivalente dell’ISS non cantano in coro che il Presidente ha ragione.
D’altronde ha vietato a quelli che potrebbero contraddirlo di interagire con i media, la comunicazione sull’emergenza essendo riservata al vice presidente Pence, che da governatore dell’Indiana aveva abolito lo scambio di siringhe per meglio organizzare la peggior epidemia di AIDS dello stato. Per semplificargli il lavoro, da ieri i CDC non pubblicano più il totale delle persone testate, i.e. disinformano.

Il secondo è un disastro annunciato.
Da quando Trump ha licenziato l’intero coordinamento per le pandemie, i CDC hanno perso i propri esperti. Guarda caso, con più un mese di ritardo rispetto a Cina, Singapore, Corea del Sud (omissis) e paesi della UE, un suo laboratorio ha creato un test con il reagente sbagliato – il pezzo di Dna di un altro virus usato come controllo – invece di comprare quelli dell’Oms.
Mentre le indagini sono in corso, alcuni stati e molte aziende private possono permettersi di sviluppare un proprio test e di chiederne l’approvazione alla FDA a cose fatte. Anche perché l’Oms ha pubblicato la ricetta.

Resta da capire chi pagherà i test per le persone a rischio che non se lo possono permettere, il loro soggiorno in quarantena e se si ammalano il ricovero in ospedale.
L’altro ieri Trump ha minacciato il Messico che la pagherà cara se la bufala dei democratici attraverserà la frontiera. In Messico il primo caso è stato identificato ieri. In confronto Vincenzo D’Anna e Luca Zaia sembrano quasi compos mentis, no?

3 commenti

  1. Segnalo che Mike Pence è stato governatore dell’Indiana e non dell’Iowa.
    Inoltre, questo dato:
    350.org, mirava a $12 miliardi di impegni entro il 2020, che sarebbe l’equivalente del 15% dei fondi globali gestiti da istituzioni.
    mi sembra strano. 12 miliardi di dollari non sono pochi per essere il 15% dei fondi globali? Non è che si tratta di 15 biliardi?
    (mi scuso ma non so mettere in corsivo o fare la citazione in quest’area commenti, rendendo un po’ confuso il tutto).

    1. Grazie della lettura attenta! Ho corretto anche i 12 mila miliardi, i “non” messi a caso, “siringe” e gli altri disastri (spero). Per il corsivo può usare le virgolette, ma si capisce anche così.

  2. Scusa Avica,
    Recte compotes mentis.
    Si sa che bisogna essere re o pazzi per poter fare e dire qualunque cosa. E se si è le due cose è meglio ancora

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