Tassi di riscaldamento locale

In media globale la durata, l’intensità e la frequenza delle ondate di calore aumentano come previsto dai modelli climatici. Ma su Nature Communications (open access), due ricercatrici australiane Sarah Perkins-Kirkpatrick e Sophie Lewis propongono un metodo per calcolare anche la loro “intensità cumulativa” nelle varie regioni del mondo.

Per mostrare come funziona, usano le giornate di caldo intenso quando la temperatura supera di molto la media stagionale, in due serie di temperature dal 1950 al 2014 e al 2017. Le differenze tra le regioni sono impressionanti (Figura 1). In 70 anni, l’intensità media è cambiata poco, la durata parecchio quasi dappertutto e l’intensità cumulativa è globale:

  • Le tendenze più marcate si vedono sul Medioriente e parti dell’Africa e dell’America Latina dove il calore in eccesso prodotto dalle ondate aumenta di 10°C al decennio. Per le altre zone con tendenze significative, aumenta di 2,6°C al decennio.

C’è una forte variabilità su scala decennale – salvo nella regione del Mediterraneo dove l’aumento di >4 °C a decennio è costante – e per fare valutazioni, le autrici raccomandano di usare medie di 30-40 anni.

Nella Tabella 2 ci sono gli eccessi subiti dagli abitanti nelle 26 regioni SREX (tabella con le sigle, pagina 6)

  • Per esempio circa 80°C di calore in più è stato provato nella peggior ondata di calore dell’Australia, e oltre 240°C in quella peggiore della Russia occidentale. Il Mediterraneo e la Siberia hanno provato stagioni in cui le ondate di calore aggiungevano 200°C e nella stagione peggiore dell’Alaska 150°C. Forse non è una sorpresa, in termini di calore cumulativo, le stagioni peggiori sono avvenute dal 2000 in poi e la grande maggioranza a partire dagli anni Ottanta.

Chissà attorno al Circolo polare artico dall’inverno scorso…

Le stagioni non sono più quelle di una volta, signore mie, salvo nel Midwest, in Marocco e in parte dell’Himalaya e della Cordigliera andina (Figura 2).

  • I risultati del nostro studio hanno implicazioni importanti per tutti i sistemi influenzati dall’esposizione cronica al calore… Per esempio ondate di calore più lunghe e un po’ più calde potrebbero richiedere strategie di gestione diversi in settori diversi quali la sanità pubblica e la fornitura di energia, di eventi più brevi e più intensi, nonostante un cambiamento simili dell’intensità cumulativa. 

Credevo che ci fossero “strategie di gestione” per affrontare gli eventi meteo estremi, altrimenti non si possono pianificare opere di adattamento. Ma le autrici dicono che “servono ulteriori studi”.

Rif. anche The Guardian.

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Su Science, Flemming Dahlke et al. dell’istituto Alfred Wegener hanno raccolto i dati – e stimati quelli mancanti – sui “colli di bottiglia” termici durante la vita di 694 specie di pesci – ectotermici come quasi tutti i pesci – d’acqua dolce e salata.

Negli habitat dove si riproducono attualmente, le larve, i piccoli e gli adulti improduttivi hanno una forbice di tolleranza di più o meno 11 °C rispetto a +/-4 °C  per gli embrioni e gli adulti nel periodo della riproduzione. In questi due stadi, il metabolismo richiede molta energia, anche tenuto conto delle differenze tra specie euritermiche tolleranti, le carpe per dire, e stenotermiche intolleranti, le più numerose.

Attivare le risorse genetiche per contrastare la temperatura esterna sottrae energia necessaria allo sviluppo embrionale e all’aumento della “biomassa” degli adulti durante la produzione dei gameti che a volte rappresentano fino al 20% della loro biomassa totale, dicono gli autori.

Trovano che in molte specie, embrioni, genitori e genitrici sono vicini ai limiti superiori della propria tolleranza termica, tanto più che sono già malridotti dall’inquinamento, dall’acidificazione dei mari e dal sovra-sfruttamento.

Nel loro modello di adattamento evolutivo (onto- e filogenetico), con un aumento della temperatura corrispondente agli impegni presi con l’Accordo di Parigi e allo scenario socio-economico SSP 4–6.0, nel 2100 “oltre un terzo” di quelle specie non avrebbe più un habitat dove riprodursi.

  • Un aspetto positivo è che la percentuale delle specie a rischio potrebbe essere ridotta al 10-15% con un riscaldamento globale limitato a 1,5 °C (SSP 1–1.9).

L’aspetto negativo è che per ora la concentrazione atmosferica dei gas serra somiglia all’andamento dello scenario SSP 5–8.5, con oltre due terzi delle specie a rischio nel 2100.
Il paper è per abbonati così come la Perspective di Jennifer Sunday dell’università McGill secondo la quale è probabile che quel modello sottovaluti i rischi, ma dovrebbe funzionare il link alle figure riassuntive.

Nell’Economist, di questa settimana raccomando uno “scenario” su cosa succederebbe se nel 2024 i Repubblicani candidassero alle presidenziali l’ex governatore Larry Hogan (grazie, Noah). Esiste davvero, sul coronavirus ha “ascoltato gli scienziati”, ed è l’autore di una “Promessa per la Terra”

  •  “We, the party of Lincoln, mindful of the damage humanity is doing to God’s creation, commit to combating climate change, conserving species and environmental consciousness.” Introducing the former governor of Maryland to the stage to deliver his address, Bill Gates called it “perhaps the most hopeful statement ever made in American politics”.

For God, sure. But for Lincoln and liberty too?

E se vi cresce un articolo gratis, c’è un aggiornamento sulla diga Grand Ethiopian Renaissance costruita sul Nilo blu dal governo etiope e sulla “disputa amara” che l’accompagna dalla prima pietra. Si acuisce ora che gli etiopi iniziano a riempire l’invaso senza un accordo di bacino per condividerne le acque con i paesi a valle.

3 commenti

  1. Heatwaves locali/regionali:
    per quel che concerne il pixel Berlino-Vienna-Milano-Ginevra (e senza la pretesa di precisione e approfondimento di questo interessante lavoro delle due ricercatrici australiane…), vedi qui .

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