Fine di una leggenda

Il radioteloscopio di Arecibo era il più amato del mondo. Dal 1963, su una montagna in mezzo alle foreste tropicali di Puerto Rico ascoltava l’universo con un orecchio largo 305 metri. Nel 1974 aveva trasmesso un messaggio interstellare agli extraterrestri e 22 anni dopo, Jodie Foster di SETI riceveva la riposta in Contact. Il film era tratto da un romanzo di fantascienza dell’astronomo Carl Sagan, che con i suoi papers e di più in trasmissioni televisive aveva contribuito alla fama del telescopio.

Dopo il terremoto del 2014 che l’aveva danneggiato e rivelato invecchiamenti che ne compromettevano la salute, astronomi, astrofili e aspiranti navigatori spaziali erano riusciti a trovare i fondi istituzionali e progettavano di rimetterlo in sesto. Purtroppo l’uragano Maria nel 2017, un altro terremoto nel 2019 e Isaias nel luglio scorso gli hanno dato brutte botte. Il 7 novembre s’è spezzato l’ennesimo cavo. Ora gli ingegneri mandati per auscultarlo e fare una prognosi dicono quasi tutti che si può solo tentare di smantellarlo.

Un’impresa. Andrebbe calata delicatamente la parabola – 900 tonnellate compresi gli strumenti aggiunti nei decenni – prima che si schianti sul suo zoccolo di cemento e danneggi gli altri osservatori che ci stanno intorno.

Necrologi, elegie e ricordi affettuosi su Nature, Science, The Atlantic, New York Times, Scientific American, The Guardian, Phil Plait – se ne trovate altri, li aggiungo dopo.
Adesso faccio l’Oca’s digest o mi dimentico…

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Letti su Nature,

  • l’editoriale e i risultati del sondaggio sui pregiudizi e i problemi etici spesso ignorati o aggirati dai ricercatori che producono algoritmi per il riconoscimento facciale. Mi sembrano gratuiti anche gli articoli correlati “Is facial recognition too biased to be let loose?” e “Resisting the rise of facial recognition“;
  • le cinque regole di Alexandra Freeman, David Spiegelhalter (nota) et al. per comunicare l’evidenza in particolare durante una pandemia. Se avete letto gli articoli in proposito del climatologo Stephen Schneider, sapete già tutto;
  • se non il paper di Kaspar Daellenbach e molti altri sulla concentrazione di particolato ossidante nell’aria delle città svizzere (va be’ che stanno in mezzo alle montagne, ma il metodo dovrebbe valere per altre città), almeno l’ampio commento di Rodney Weber.

Per quanto riguarda l’effetto sulla nostra salute, rimando al paper di altri tra cui K. Daellendach uscito lo stesso giorno su PLoS One. (Bel colpo.)

Nota – Sir David è l’autore di L’arte della statistica. Cosa ci insegnano i dati, un ottimo saggio appena tradotto da Einaudi – da consigliare ai legali dell’Elite Strike Force reclutati da Trump per contestare i risultati delle elezioni in tribunale. Oltre a non azzeccare una statistica dal 3 novembre, nelle loro “prove di frodi” confondono pure i vivi con i morti e – fa notare un trumpista d.o.c. su un sito un tantino razzista – il Minnesota con il Michigan. Come il loro leader, d’altronde.
Hilarity ensues…

(C’è poco da ridere visto che l’88% degli elettori repubblicani crede che i Democratici hanno rubato la presidenza. Per ora non i giudici repubblicani o meno. Fino a ieri sera, Trump aveva perso 32 processi su 33, e la sentenza di quello vinto era stata annullata in appello pochi giorni dopo – fine della digressione politica.)

Su Science…

  • l’editoriale di Ottoline Leyser su cosa costituisce “l’eccellenza” nella ricerca (speravo qualcosa di meglio…) e quello del direttore Holden Thorp sul risultato delle presidenziali americane: a suo avviso, i 73 milioni di elettori che hanno votato per Trump non sono anti-scienza, come la stragrande maggioranza degli americani semplicemente la scienza non li interessa;
  • Jop de Vrieze riassume quello si sa dei – rari per ora – casi di reinfezione da Sars-Cov2 (sintesi: la difesa immunitaria dura poco; i mutamenti del virus lo affievoliscono);
  • la rassegna di Luke Kelly et al. – un po’ preoccupante – delle ricerche sugli impatti degli incendi – aggravati dal riscaldamento globale – sulla biodiversità e gli ecosistemi, con alcuni suggerimenti per rimediare;
  • sono a metà di “Enhanced Zika virus susceptibility of globally invasive Aedes aegypti populations” di Fabien Aubry e decine di altri, ma è sicuramente da far girare nelle Ong internazionali.

… e Science Advances
“Social connections with COVID-19–affected areas increase compliance with mobility restrictions” di Ben Chaorenwong et al. è un modello sociologico calibrato su big data statunitensi. Correla il rispetto o meno della mobilità ristretta – distanziamento sociale, restare a casa, smart working – nelle contee americane di ogni stato con l’indice elevato o meno di connessioni sociali (tratte da FaceBook) e le connessioni degli abbitanti con la Cina e l’Italia, i due paesi colpiti inizialmente dall’epidemia.
Dopo aver escluso svariati fattori di confusione. per es. persone con co-morbidità che tendono comunque a restare di più a casa,

  • i risultati suggeriscono che l’aumento dell’effetto delle restrizioni della mobilità è dovuto principalmente alle differenze delle informazioni, e non al rischio

soprattutto nelle contee con una popolazione più anziana e senza laurea. E poi:

  • When considering measures of social connections with areas within the United States that are likely to spread or believe in misinformation, we find the opposite results. More connections with counties with low education levels, counties with a higher share of voters who voted for Donald Trump in the 2016 presidential election, and counties with a higher fraction of people denying the existence of climate change are all associated with a decrease in the effect of mobility restrictions. These results suggest that the potential role of social connections in influencing pandemic-related household behavior may be large, but not unequivocally positive.

Ho sempre un po’ di dubbi su come si calcolano e interpretano questi coefficienti, quindi tendo a prenderle con parecchio sale.

Anecdote isn’t data, lo so e il campione è il contrario di “rappresentativo”, comunque gli amici americani che si preoccupavano per quello che succedeva in Lombardia si sono subito messi in lock-down anche se stavano a 400 km da New York e quasi 3000 da Seattle.

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