Dopo la complicità del personale medico nelle torture inflitte a Guantanamo, documentata su PLoS Medicine, nello Hastings Center Report Chiara Lepora – prima di Medici senza frontiere – e Joseph Millum, un bioeticista degli NIHs, pubblicano:
Il paziente torturato: un dilemma medico
Qualche volta è giusto essere complici
Meno male, Stephen Miles dello Hastings dice il contrario. Non che Lepora e Millum siano per la partecipazione a sevizie immorali e controproducenti. Sono favorevoli alle leggi e alla deontologia che le vietano:
Rispondere alle richieste di torturatori può significare dar assistenza ad atti terribili o condonarli. Tuttavia rifiutare cure a chi ne ha bisogno è come abbandonare un paziente.
Le cose non sono mai bianche e nere, dicono, tant’è che in molti paesi sono stati dei medici apparentemente “complici” – o costretti a esserlo – a testimoniare per primi contro i torturatori. Il dilemma morale si pone a chi non condivide gli intenti malvagi dei torturatori, ovviamente. Se la vittima chiede di essere curata, in alcuni casi possono esserci “ragioni morali”, di tipo utilitaristico, per farlo: per esempio essere in grado di mitigare, prevenire e denunciare gli atti di tortura.
Bavaglio
Sul Guardian, Brian Deer – che aveva scoperto le falsificazioni di Andrew Wakefield, tra altri misfatti – pubblica citazioni del contratto che un giornalista deve firmare prima che esca una sua inchiesta su Nature, per mettere il gruppo editoriale al riparo di processi per diffamazione. Demenziale.
S’è rifiutato, così la clausola di confidenzialità non vale. Così si apprende che i dipendenti pubblici statunitensi non devono firmare nulla. Deer pensa che siano protetti dal Primo emendamento. Secondo me, è perché in USA la legge inglese sulla diffamazione non vale.
Satira, quindi innocente
I fratelli Koch avevano denunciato per reati vari e danni alla propria immagine Youth for Climate Truth che all’epoca di Cancùn aveva fatto circolare on line un comunicato stampa in cui l’azienda annunciava “impegni per l’ambiente”. I legali di Koch Industries pretendevano anche che venisse rivelata l’identità dei burloni. Un giudice dello Utah ha detto ieri che le burle non si processano: i testi satirici e l’anonimato dei loro autori sono protetti dal Primo Emendamento.
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Idem per i testi politici. Certi Padri fondatori disputavano della Costituzione da dare agli Stati Uniti firmandosi Publius.