Non so se questa ricerca sia valida per altri habitat e specie. La foresta atlantica cilena sta restringendosi, la Gomortega keule è a rischio di estinzione anche se è impollinata dalle sirfidi che non lo sono e non sono nemmeno specializzate.
Tonya Lander et al. scrivono che le sirfidi vanno da un albero di quele all’altro anche quando di mezzo ci sono piantagioni di pini o appezzamenti poco coltivati, non se devono attraversare colture intensive. Queste non rappresentano un “corridoio” ma il posto nel quale fermarsi a bottinare, secondo il “principio di Circe”.
mazzetta segnala la rassegna di Camillo Mora e Peter Sale sulla biodiversità che continua a calare, nonostante l’aumento delle aree protette. No surprise: arrivano sempre tardi, gestire bene un’area protetta richiede un’enorme quantità di conoscenza, gente delle comunità locali che la sa lunga, mezzi e soldi. Non ci sono. Mora e Sale scrivono:
A parte il fatto che lo sviluppo continuo è ecologicamente insostenibile, serve un maggior riconoscimento degli effetti economici negativi dell’aumento della popolazione. Che l’uso umano delle risorse naturali sia o meno la prima causa di perdita di biodiversità, è chiaro che l’ampiezza e la serietà crescenti delle minacce umane sono troppo consistenti per essere affrontate con la creazione di ulteriori aree protette. … Non possiamo permetterci di tardare molto prima di scegliere la soluzione giusta a questo problema.
Già, il problema è l’aumento della popolazione, dei suoi consumi, sprechi e inquinamenti. Le soluzioni, sempre che esistano, sono sgradite ai governi di paesi ricchi o poveri che siano, prevedono l’intervento coordinato di più stati, una rinuncia alla sovranità. Inoltre si conosce con buona approssimazione il valore dei servizi e dei beni forniti dagli ecosistemi integri. Corrispondono al 60-70% del reddito per 3 miliardi di poveri e non aiuta a conservarli integri il miliardo di ricchi che può permettersi una vacanza nella cosiddetta natura incontaminata.
Sprechi
Dal rapporto appena pubblicato dalla New Economic Foundation britannica:
Nel caso di una singola specie studiata per questo rapporto, il merluzzo del Mare del Nord, della Manica orientale e dello Skagerrak, tra il 1963 e il 2008 quasi 7,5 miliardi sono pescati e poi ributtati in mare, 1,4 per ogni merluzzo pescato. In soldi, 2,7 miliardi di sterline buttati a mare. Non ci possiamo permettere di sprecare la nostra ricchezza economica ed ambientale, soprattutto nell’attuale clima economico.
Altre vittime dello sviluppo continuo
Avevo detto di Charles Monnett, sotto indagine “criminale” per aver pubblicato su Polar Research nel 2006 la scoperta di quattro cadaveri di orsi bianchi a galla sul mare (se ne rallegra Climate Monitor). Si trattava di un evento mai osservato in 16 anni e l’ipotesi era che fossero annegati non avendo trovato un pezzo di banchisa sulla quale risalire. Sempre in Alaska, Ian Thomas è stato licenziato dall’US Geological Survey per aver messo on-line foto di caribù nell’area 1002, un pezzo della Riserva nazionale artica conteso dai petrolieri. E il governo canadese ha vietato alla genetista Kristi Miller di parlare con i giornalisti di questa ricerca, uscita su Science, sul declino dei salmoni nel fiume Fraser…
Alcuni dei tagli che, in cambio dell’innalzamento del tetto del debito, i repubblicani pretendono alle ricerche su clima e l’ambiente che rischiano di abbassare i profitti dei loro finanziatori. E altri ancora più feroci. I due terzi dei cittadini sono indignati, da venerdì una parte si organizza. Se finisce l’ondata di caldo, potrebbe esserci altra gente davanti alla Casa Bianca oltre a Naomi Klein, Jim Hansen, Bill McKibben et al.
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