OGM, CIA e TAV


Su Nature, mi segnala Giovanni T. che sta scrivendo un libro sugli Ogm, esce una ricerca di Luis Herrera-Estrella et al.

Come al suo solito, Luis H-E cerca di risolvere problemi che non hanno nulla a che vedere con i profitti di Monsanto & Co:
Two major challenges for agriculture are that phosphorus is a non-renewable resource and that weeds have developed broad herbicide resistanceOne strategy to overcome both problems is to engineer plants to outcompete weeds and microorganisms for limiting resources, thereby reducing the requirement for both fertilizers and herbicides. Plants and most microorganisms are unable to metabolize phosphite (PO3?3), so we developed a dual fertilization and weed control system by generating transgenic plants that can use phosphite as a sole phosphorus source. Under greenhouse conditions, these transgenic plants require 30–50% less phosphorus input when fertilized with phosphite to achieve similar productivity to that obtained by the same plants using orthophosphate fertilizer and, when in competition with weeds, accumulate 2–10 times greater biomass than when fertilized with orthophosphate.

(Non so se siano realistiche le previsioni sul picco del fosfato, per ora i prezzi sembrano smentirle.)

L’esperimento di Luis et al. è stato fatto sul tabacco in serra e in Argentina perché in Messico rischiava di essere distrutto da gruppi anti-Ogm (sulla situazione messicana, rif. questo articolo).
Eppure sono dalla stessa parte. Luis era attento a quanto scriveva il sub-comandante Marcos, per dire, e aveva analizzato i suoli del Chiapas, zeppi di alluminio che impedisce la cattura dell’azoto da parte delle radici dei fagioli. I contadini praticano tuttora lo “slash and burn” per niente sostenibile, gli erano venute delle idee. Ma si concentrava su argomenti scientifici, così si era scontrato con militanti di Greenpeace.
Secondo me (refrain), gli Ogm vanno valutati uno per uno come fa per esempio il WWF in Brasile quando trova finanziamenti per farlo liberamente (non facile) e nel contesto più generale della storia dei rapporti Nord-Sud (per semplificare). Giovanni T. mi segnala anche Il caso OGM, un nuovo libro di Roberto Defez, che di quella storia non tiene conto.

Nel terzo mondo, quasi tutte le ONG locali che conosco diffidano sia delle multinazionali che degli scienziati che dichiarano di voler salvare il mondo. Per brutte esperienze, motivi religiosi, culturali e altri ancora. E quando il governo USA vuole l’adozione degli Ogm in cambio di aiuti bilaterali mentre la CIA (1) usa i medici della campagna di vaccinazioni per stanare Bin Laden, non è che aiuti.

Discuto spesso di Ogm con fitogenetisti della CGIAR che fanno sementi per i paesi poveri e siamo tutti d’accordo sui rischi per la biodiversità, l’evoluzione accelerata di resistenza ecc., ma ci sono aspetti più generali.

Finché le sementi transgeniche sono progettate per un’agricoltura su scala industriale, mi sembra normale che succeda come per altre tecnologie “di grande impatto” in cui la scienza è usata strumentalmente da entrambi gli schieramenti. L’opposizione alla TAV non è suscitata dalla novità –  o dai suoi rischi – ma da chi la gestisce e come. Altrimenti ci sarebbero movimenti contro internet e  i cellulari che portano cambiamenti ben più radicali, no?

(1) Il 16 maggio scorso, il POTUS ha promesso che non lo farà più. Anche a volergli credere, è troppo tardi per fermare la strage di bambini, medici e infermiere – non solo in Pakistan.

Aggiunta 11.7.2014
Metto qua un po’ degli articoli che segnalavo ad Alberto:
War on weeds loses ground
A hard look at GM crops
A growing problem

***

O’s digest – Nature

– un editoriale e un articolo di protesta contro la repressione della libertà di ricerca in Egitto e in Russia.

– in “Espulsione dalla storia”, Scott Power riprende il paper di Camilo Mora et al. che avevano creato un indice per stimare quando il clima devierà dalla variabilità che risulta dalle registrazioni “storiche”, la critica di Susan Salomon, Reto Knutti et al. e la replica degli autori.

Mora et al. riconoscono che la loro proiezione del tempo di espulsione è il risultato di una media statistica e non è valida per tutto il pianeta, ma non trovano sbagliato quantificare l’incertezza con il margine di errore abituale per i modelli. Powers fa un’analogia:

Imagine that a doctor receives a text message from Harry, who is doing a school project on life in the nineteenth century: “What is the average age at death of people born in our city in 1860?” Having just read a report on the topic, the doctor promptly replies “61 ± 1.2 years.” This is the estimated average, together with an indication of the accuracy with which the average value is known.

A few days later, Harry sends a second message: “How old were they when they died?” The doctor, recalling her previous text, is about to re-type “61 ± 1.2 years,” but then realizes that this is a different question. The range of possibilities is substantially broader than ± 1.2 years. Some people died soon after birth, others lived beyond 80 years of age. She then replies: “0 to 80+ years.”

Salomon, Knutti et al. trovano più corretto rispondere da “0 a 80 anni”, ma non mi pare una gran stima perché c’erano parecchi novantenni anche allora. Secondo Powers, la maggior parte delle conclusioni del paper restano valide lo stesso:

Expulsions are indeed expected to occur under business-as-usual scenarios over wide areas before 2100. These will tend to occur sooner under scenarios involving higher emissions, and are more likely to happen soonest in regions that include biodiversity hot-spots and many low-income countries.

Per stime del genere i modelli mi sembrano lo strumento sbagliato, meglio calibrarli per regione come Mann et al. nel caso della malaria. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensano a Real Climate.

***

Nella loro ricostruzione della deglaciazione Bølling–Allerød, una botta di caldo nell’emisfero nord  tra 15.000 e 12.000 anni fa, Nivedita Thiagarajan et al. del Caltech dicono che sarebbe dovuta a un accumulo di calore nelle profondità degli oceani meridionali finché l’abituale stratificazione è saltata e le correnti hanno riscaldato quelli settentrionali cambiando molto velocemente il clima locale. Secondo loro, è un meccanismo diverso da quello che ha provocato oscillazioni del Dyas arcaico e recente nello stesso periodo.

***

Battle of the Graphs, rimmel cont.

Da Watts, Sua Signoria dalla rosa saracinesca pubblica altre opere d’arte grafica, dopo aver confessato di aver pubblicato un grafico taroccato da ignoti, senza indicarne la provenienza, e minacciato altre querele contro chi dubita della Forza X ipotizzata con dati “assumed” da David Evans, la quale sta per provocare un’era glaciale, nonché contro i blog, come quello di Watts, che ospitano i dubbi.

Antologia da Hot Whopper.

26 commenti

  1. Sul picco dei fosfati non parlerei affatto di “previsioni”, perchè la curva rossa è solo un andamento del tutto ipotetico sovrapposto alla linea grafica in blu che empiricamente tiene conto della produzione reale.
    I picchi (per non dire dei massimi relativi) esistono ma i picchisti li trovano “un po’ troppo dappertutto”.
    Sulle PGM sulle quali si concentra la ricerca di Luis-H-E, spero vivamente che raggiungano risultati importanti utilizzabili su scala industriale (la scala locale o del prodotto di nicchia servirebbe a poco) ma non vedo perchè tali risultati non potrebbe essere raggiunti dai ricercatori di Monsanto i cui giusti profitti nel campo delle sementi transgeniche non si sono determinati per opera del destino o per complotti innominabili, ma grazie ad investimenti in R & D che hanno portato ad ottenere prodotti validi da vendere ai milioni di agricoltori che li usano pagandoli di tasca loro (anche ciò giustamente).
    Riguardo al fatto che i Governi delle Nazioni ricche facciano anche del marketing di nascosto ed ungano diverse ruote per favorire le multinazionali in cui la proprietà maggioritaria è quella dei loro connazionali, non mi scandalizzo. Solo sarebbe ora di finirla di farlo notare quasi esclusivamente quando si tratta degli USA e quando ci sono di mezzo i transgeni, demonizzati da moltissime ONG spesso in maniera del tutto insensata.

    1. Alberto,
      la scala locale… servirebbe a poco
      le stesse varietà rendono dappertutto allo stesso modo?
      i cui giusti profitti si sono determinati … da investimenti in R&D
      La ricerca su transgeni e tecniche associate si fa solo in Monsanto?
      Solo sarebbe ora di finirla di farlo notare quasi esclusivamente quando si tratta degli USA
      Perché lo dice a me che non ho ancora cominciato?

  2. Buona sera Sylvie,
    mi scusi se uso il blog per scriverle, ma ho ricevuto 2 volte errore dalla risposta che avevo mandato al termine del recente scambio di email. Questo è il report:
    Fri 2014-07-04 16:03:09: –> RCPT To:
    Fri 2014-07-04 16:03:09: <– 250 RCPT TO: OK
    Fri 2014-07-04 16:03:09: –> DATA
    Fri 2014-07-04 16:03:09: <– 354 Start mail input; end with .
    Fri 2014-07-04 16:03:09: Sending to [85.18.95.27]
    Fri 2014-07-04 16:03:10: Transfer Complete
    Fri 2014-07-04 16:03:10: <– 554 Message refused

    1. Grazie dell’intromissione e del link, Marianna. Mike Archer riassumeva la sua ricerca qui.
      Mi sembra valida per l’Australia, grande quasi quanto l’Europa con 12 milioni di canguri e 23 milioni di abitanti…

  3. Alberto i picchisti come li chiami tu (anch’io sono di aspo) li trovano dappertutto perchè i picchi sono dappertutto, sono il modo di funzionare di un sistema limitato e retroazionato; non so se i fosfati siano in quella precisa condizione, ma i metodi matematici per capire se quella curva è realistica ci sono; non è un problema di picchismo e poi il picchismo non esiste, il picco è semplicemente la derivata della curva logistica, tutto qua e ammetterai che una curva logistica è così generale da trovarsi dappertutto; piuttosto trovo assurdo il metodo dei colleghi che cercano di trovare organismi che recuperino il fosforo in altre forme quando si potrebbe semplicemente recuperarlo nelle forme in cui viene effettivamente escreto; non è cosa normale ma lo diceva già liebig e si potrebbe fare tranquillamente; c’è tanta chimica da sviluppare a riguardo, piuttosto che usare un ogm usare un po’ di chimica normale no?

  4. dimenticavo di aggiungere che invece condivido completamente l’idea di Sylvie sugli OGM; esaminare il caso specifico e considerarli pero’ in un contesto sistemico, visione glocale insomma.

  5. @Claudio: sicuramente i picchi (o meglio i massimi locali) esistono nella realtà. Solo che la curva logistica non è affatto così generale come si immaginano i picchisti, scambiando i loro modelli semplificati e spesso semplicistici per casi concreti.
    Riguardo alle ipotesi “lo diceva già Liebig e si potrebbe fare tranquillamente”, immagino che se nella realtà non succede che si recuperi il fosoforo nelle fome in cui viene di solito escreto, sarà perchè non è così facile (=tecnicamente fattibile ed economico vantaggioso) recuperarlo. Comunque a livello razionale non vedo perchè la chimica normale debba essere considerata in opposizione rispetto alla genetica e non piuttosto venire utilizzata come modalità parallela di ricerca, ossia una possibilità in più e non un aut-aut.
    @ocasapiens (4 luglio):
    1)ovviamente no, solo che se si vuole risparmiare sulle 150Mt/y di una fonte non-rinnovabile come i fosfati bisogna sviluppare varietà a grande diffusione che ne consumino di meno, oppure sviluppare una applicazione transgenica (o meno) facilmente appplicabile ad un numero elevato di varietà locali le quali prese tutte insieme diminuiscano i consumi globali.
    2)anche qui ovviamente no, solo che non vedo perchè i ricercatori di Monsanto debbano essere trattati con altezzosità: ben vengano altri ricercatori in grado di ottenere risultati paragonabili nel campo transgenico, ma finora il successo degli ogm coltivati da milioni di contadini in USA, Brasile, Canada, Argentina, India etc è in massima parte quelle delle sementi transgeniche sviluppate da Monsanto.
    3)Se non ha nemmeno iniziato, vuol dire che ho sbagliato io a considerarla “a pelle” antiamericana e me ne scuso.

    1. Alberto,
      non li tratto con altezzosità, ma ricordo che nel 1998 sostenevano che non ci sarebbe stata un’evoluzione della resistenza a pesticidi ed erbicidi. Invece la resistenza agli erbicidi non riguarda solo degli Ogm, ovviamente, ma l’hanno accelerata. Ma se legge vede che l’hanno accelerata e che in USA, dopo un calo fino al 2005, l’uso di erbicidi adesso è raddoppiato – inutilmente. La situazione peggiore in India, dove spesso le zone tampone esistono solo sulla carta.

  6. la tua definizione di economico dovrebbe comprendere i costi dovuti alla distruzione dell’ambiente; tali costi oggi mentre noi siamo i principlai player sia del ciclo del fosforo che dell’azoto sono enormi e difficilmente quantificabili in modo banale; la distruzione dell’ecosistema è uno di questi; vedi per esempio qui e nel lavoro di Smil ivi citato: http://malthusday.blogspot.it/2014/07/storia-del-xx-secolo-in-pochi-numeri.html
    oppure qui http://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0959378014000685
    sfortunatamente questo non viene mai fatto e l’economia è priva di considerazioni ecologiche il che è un grave limite tale da renderla del tutto priva di valore per il futuro

  7. in pratica secondo l’articolo di Costanza mentre il pil del mondo è dell’ordine di 70 trilioni di dollari la quota offerta dall’ecosistena è di 125 trilioni e la perdita di ricchezza dell’ecosistema si misura in questi anni in decine di trilioni di dollari; dopodichè cosa è ECONOMICO, mio caro Alberto?

  8. @claudio: la definizione di “economicamente vantaggioso” non è mia, purtroppo.
    E’ così che funziona l’ economia reale “worldwide”.
    So benissimo che esistono quelle che gli economisti chiamano “esternalità” e che queste possono essere gigantesche.
    Ma il problema è che un conto sono sono i soldi “veri” dei 70T$ del pIL mondiale un altro i soldi “virtuali” (ma con effetti sugli ecosistemi maledettamente reali) dei 125T$ dovuti ai cosiddetti “servizi” degli ecostemi naturali alle attività umane.
    E la sfortuna non c’ entra nulla: il far rientrare queste esternalità (reali, ripeto ma oggi non monetizzate se non in minima parte) nell’economia di tutti i produttori pubblici e privati mondiali (quasi tutti, nel senso che se solo una minoranza le adottasse non solo avrebbero poco impatto ma questa minoranza sarebbe competitivamente svantaggiata) è un problema PRATICO (e non concettuale) ad oggi irrisolto.
    L’ unica possibilità concrete sviluppate ed applicata localmente in vari modi è tassare chi inquina. Ma ciò ha limiti pratici micidiali appena si cerca di salire di scala, come il tentativo (sostanzialmente fallito, purtroppo) del carbon trade europeo susseguente al protocollo di Kyoto.
    @ocasapiens: scusa ma io parlavo dei ricercatori di Monsanto, non dell ‘ ufficio relazioni esterne.
    E’ ovvio (a livello di businness non di botanica) che questo dichiarasse “tranquilli non ci sono motivi per cui la resistenza ai roundup si svilupperà più di quanto sviluppatasi finora”, per non comportarsi tafazzianamente, ma chi ne capisce un poco di biologia sapeva benissimo (al di là delle possibili azioni preventive, tutte con extra-costi per i contadini, per mitigare o posticipare il problema) che il successo delle piantagioni BT e quindi l’ utilizzo su larga scala di un diserbante multi-spettro come il round-up (oltre tutto già molto diffuso all’ epoca) avrebbe funzionato come efficace agente selettivo per l’ evoluzione di piante selvatiche “naturalmente” resistenti.
    Ciò non toglie che molte ONG (e pure concorrenti di Monsanto come Syngenta) hanno fatto dell’ allarmismo (o peggio) sugli effetti del fenomeno reale della resistenza. In definitiva se questa si diffonderà oltre un certo limite i contadini non useranno più le sementi RR (perchè avranno perdite economiche) e ritorneranno a quelle tradizionali che non necessitano del glifosate o passeranno a nuove sementi transgeniche (nel caso vengano sviluppate) HT capaci di tollerare uno o più tipi diversi di diserbante.

    1. Alberto,
      Non erano quelli del marketing, ma il presidente Bob Shapiro con tanto di “rapporti scientifici” in mano. D’altronde in molte zone degli USA nessuno crede all’evoluzione.
      Usare le sementi tradizionali non serve finché gli erbicidi sono gli stessi. Le nuove sementi ne tollerano già una combinazione, ma quasi tutti gli scienziati ritengono che la toppa sia peggio del buco perché una volta acquisita la prima resistenza l’evoluzione delle altre è ancora più veloce.

  9. Pochi mesi fa la Epa statunitense ha approvato in fretta e furia un incremento consistente nei limiti alle quantità di glifosato tollerate nel cibo. Una cosa che mi ricorda un po il nostro scandalo atrazina.
    La parte interessante del discorso è però la ragione di questo allentamento nelle norme. L’agricoltura roundup ready è praticata in America da più di quindici anni in maniera pervasiva, e nessuno aveva finora sentito la necessità di simili cambiamenti normativi. Se lo hanno fatto, qualcosa vorrà pur dire. Il mio sospetto è che quella roba stia smettendo di funzionare a gran velocità, e che gli operatori tentino di cavarsela calcando la dose. Stiamo a vedere.

    1. Fausto,
      Già, tanto per rafforzare la resistenza… E l’EPA dovrebbe anche regolamentare l’uso del glifosate adesso che non serve più a niente. Infatti gli stati chiedono esenzioni per poter spargere triziane, delle simil-atrazina, che in USA non sono vietate – ultimo il Texas sul cotone, cioè su circa 60.000 km2…

  10. Scusa ocasapiens. il presidente di Monsanto, ammesso che sia in grado di leggere e capire dei rapporti scientifici, ha detto a suo tempo (la resistenza? tranquilli i nostri scienziati mi assicurano che sarà trascurabile) che il marketing e le convenienza gli dettava, non mi sembra difficile da capire. Poi se la resistenza al glifosate è quantitativamente rilevante non è che i contadini possano usare le sementi tradizionali è che le useranno sicuramente visto che costano di meno e che il vantaggio principale delle sementi RR è (era’) quello di resistere al glifosate mentre le erbacce venivano seccate da questo. Poi è ovvio che gli agricoltori useranno, con le sementi tradizionali, altri erbicidi (per i quali il fenomeno della aresistenza comunque non è nullo ma esiste da anni, seppur in maniera più contenuta). Il glifosate (che esiste da decenni, molto prima dell’introduzione delle sementi transgeniche che lo tollerano) ha (aveva) il vantaggio di costare poc, essere tutto sommato meno tossico rispetto ad altre molecole e di degradarsi in fretta nell’ ambiente ma non è di certo l’ unico erbicida utilizzato in agricoltura. Certo ricordo che ci sarebbe il fatterello che il suo brevetto è scaduto da pochi anni.
    Il fatto che il glifosate “non serva più a niente” mi pare assai eccessivo, vista che la produzione annuale (grazie anche ai cinesi che con il brevetto scaduto si sono buttati sul mercato) lo vede uno dei primi erbicidi più usati al mondo.
    Riguardo all’i ipotesi che piante selvatiche che una volta acquisita una resistenza ad una molecola X siano per ciò in grado di accelerare l’ acquisizione della resistenza a molecole Y (se è questo il punto, magari ho capito male) su due piedi direi che è poco sensata a livello di selezione darwiniana. I ceppi di zanzare resistenti al DDT non sono, per fortuna, maggiormente in grado di sviluppare resistenze ad altre molecole tossiche rispetto ai ceppi di zanzare non resistenti al DDT. Certo di base, come le erbacce infestanti (per i nostri campi, per la natura sono meravigliosi esperimenti evoluzionistici come tutte le altre sepcie) e le zanzare sono molto abili ad acquisire resistenze, ma anch’ esse hanno dei limiti.

    1. Alberto,
      lei dice proprio quello che diceva Monsanto et al. 15 anni fa e che viene smentito dagli articoli di Nature e di Weed Control che citavo, e anche da ricercatori finanziati da Monsanto et al.
      L’evoluzione accelerata di nuove resistenze, dopo la prima, è stata osservata negli anni ’70 proprio nelle zanzare resistenti al DDT. Per ovvi motivi di selezione naturale, solo quelle sopravvissute al DDT sono diventate resistenti ai piretroidi.

  11. Onestamente non mi pare nel caso particolare di pensarla come Monsanto, nè 15 anni fa nè adesso.
    Tra l’ altro ho guardato sia l’ articolo (generico) di Nature che conoscevo già che che quelli specialistici di Weed Control (eterogenei e riguardanti resistenze a fitofarmaci di classe diversa) senza trovare particolari utili a chiarire il merito della questione.
    Segnalo invece che nel suo ultimo link è passata alle sementi BT, quando il ragionamento che stavamo conducendo riguardava lel RR.
    Le resistenze selezionate dalla diffusione dei due tipi di sementi (uno evita di spargere insetticidi nei campi, l’ altro sparge in grande quantità un solo tipo di erbicida) sono molto diverse e non sovrapponibili, per cui sinceramente il link mi pare inadeguato.
    Quello che posso confermare è che i ricercatori di Monsanto ipotizzavano che le resistenze dovute alle pgm di tipo IR (Insect Resistant come i prodotti BT) con scarsa probabilità avrebbero avuto effetti negativi importanti sugli insetti insetti nocivi. In parte le loro ipotesi non si sono dimostrate corrette, ma appunto solo in parte perchè finora (il che non vuol dire che sarà lo stesso tra 5 o 10 anni) il fenomeno delle resistenze si è rivelato quantitativamente significativo soprattutto per le tipologie HT (Herbicide Tolerant come il RR) ed a carico delle “erbacce” non degli “insettacci”.
    Riguardo a questi ultimi sarei interessato ad avere un link dove il fenomeno controintuitivo (per me) delle zanzare a resistenza accresciuta ai piretroidi perchè resistenti al DDT fosse chiarito nel dettaglio.
    A me non pare ovvio, a meno che non equivalga a sostenere: “dato che il DDT era una tossina maledettamente efficace ed usata maldestramente su ampia scala, nelle zone in cui si è diffuso praticamente tutte le zanzare sono diventate DDT-resistenti e poi, anni dopo nella popolazione di queste zanzare si è sviluppata successivamente anche resistenza ai piretroidi diffusi nell’ ambiente”.
    Ciò è ragionevole ma è ben diverso dal credere che l’ acquisizione di una resistenza specifica (al DDT, al glifosate , alla tossina BT o alla molecola X) abbia come effetto che la popolazione (di insetti o piante) “magicamente” (secondo me, beninteso) venga resa più veloce nell’ acquisizione di resistenze spontanee alla molecola Y.
    Se qualcosa non fila in questo ragionamento (basato in fondo sull’ INDIPENDENZA delle mutazioni casuali che vengono selezionate dall’ ambiente dei campi e dall’ utilizzo massiccio di molecole tra di loro diverse ed entrambi nocive a questo o a quell’ organismo in quanto determinanti differenti effetti specifici sulla biologia dell ‘organismo bersagliato) mi piacerebbe capire cos’è, dato che gli “ovvi motivi” non mi soddisfano (se mi permette la battuta aggiungerei appunto per ovvi motivi).

  12. Sono andato a controllare e devo correggermi da solo:
    le piretrine ed i piretroidi hanno un meccanismo di azione tossica sugli insetti simile ad DDT.
    https://www.docenti.unina.it/downloadPub.do?tipoFile=md&id=36489
    Quindi è ovvio mutazioni genetiche specifiche sviluppatesi nelle zanzare (od altri insetti) per metabolizzare il DDT siano anche in grado di proteggerle da alcuni tipi di molecole come i piretroidi.
    Fatta questa doverosa correzione mi pare un caso particolare per molecole X ed Y con simile attività biologica.
    Ritengo che non possa esser generalizzato e che la resistenza alla molecola X non comporti ipso-facto un aumento della facilità di acquisizione della resistenza alla molecola Y a meno che le due non abbiano meccanismi tossici simili sugli organismi target.

    1. Alberto,
      ci sarebbero insetticidi efficaci contro le zanzare della malaria, ma sono troppo dannosi per gli esseri umani.
      Le segnalavo l’articolo sul B.t. perché ci sono insettacci resistenti, il boll weevil del cotone per esempio, e perché la CGIAR aveva chiesto di non usarlo negli Ogm prima che fosse in commercio un insetticida di pari efficacia e (poca) tossicità. I ricercatori Monsanto et al avevano escluso una tolleranza perché era diffuso da decenni e non si era mai vista, proprio come dicevano per il glifosate e oggi per altri erbicidi. Invece la resistenza al glifosate è emersa in 7 anni e oggi certe erbacce resistono a 6 erbicidi diversi.
      Per le mutazioni, dovrebbe chiedere ai fitogenetisti! Non direi che sono indipendenti, nel senso che riguardano geni che ne mobilitano molti altri in funzione anti-tossina. Pare che sia così per tutti gli organismi, certi long term-survivors all’HIV sono portatori di altri virus che causano tumori e di quello dell’epatite C (vado a memoria, avevo intervisto uno del Pasteur che aveva fatto la ricerca, ma era 8 anni fa…)

  13. ocasapiens: anche il DDT è ancora efficace nelle Nazioni in cui non fu usato (o meglio ab-usato) in agricoltura, con i noti effetti negativi sulla salute umana (soprattutto perchè difficilmente degradabile nell’ ambiente e accumulabile lungo la catena alimentare).
    Purtroppo non è così facile trovare molecole che sono tossiche per gli esseri viventi che combattiamo (perchè hanno l’ insolenza di papparsi i nostri raccolti o ci trasmettono malattiea) e risultino al contempo innocue per la delicata salute di noi scimmioni-sapiens. Le tossine del Bacillus thur. sono di questo tipo e finora hanno funzionato decisamente bene, sia sparse con il bacillo intero nell’ agricoltura biologica sia prodotte dalle piante ingegnerizzate.
    Ovviamente la guerra agronomi/sapiens insettacci/non-sapiens (ma ben attrezzati a resistere alla lotta grazie a qualche centinaia di milioni di anni di evoluzione) non è mai finita. Bisognerebbe quindi evitare di stupirsi quando uno dei due gruppi di contendenti segna un punto a suo favore, ma di valutarlo con attenzione al dettaglio, senza generalizzare con troppa facilità.
    Ad esempio nell link sulle resistenze indotte dalla diffusione delle piante BT si chiarisce che “the widespread planting of Bt crops has resulted in pest resistance for only a small subset of all pest populations managed by this technology”.
    Il punto è che non è ragionevole pensare all’ insorgenza di resistenze (in questo caso in insettacci) in base alla “legge del tutto o del nulla “ossia pensando che la resistenza c’è o non c’è.
    Ciò che conta è la diffusione quantitativa delle resistenze nei campi e le eventuali (se eccessivamente diffuse, il che non mi pare sia il caso per i “BT-resistent super-insects”) contromisure utilizzabili nel caso gli effetti superino una certa soglia.
    Riguardo all’ indipendenza delle mutazioni spontanee è la norma in genetica e ripeto, una mutazione che rende resistente il tale organismo alla tossina X generalmente ha efffetti nulli per la tossina Y, tranne nel caso particolare che le vie metaboliche di degradazione delle due molecole siano simili (questo per le dosi acute tossiche, tipo le LD50, e simili , ossia quelle rilevanti in agronomia, dato che uccidere le “pesti” facendo insorgere tumori o malattie a lungo termine sarebbe del tutto inefficace).
    Tra l’ altro nel caso particolare delle tossine BT segnalo che sempre nell’ articolo dei bravi ricercatori finanziati da Monsanto anche per molecole strutturalmente affini è risultato che ” no correlation in survival on Cry3Bb1 maize and Cry34/35Ab1 maize was observed among populations, indicating an absence of cross resistance between these Bt toxins”. Non è detto che risulterà la stessa assenza anche in futuro, ma è un risultato che mette al sicuro per qualche anno le vendite delle piante BT.
    Ben venga poi se qualche ricercatore che non sia di Monsanto o concorrenti riesca a produrre nuove pgm resistenti ad insettacci (o fungacci o virussacci),
    ma finora nella realtà dei campi “globali” (intendo su superfici importanti) ciò non è successo se non in maniera del tutto “locale” (ossia relativamente limitata) ad esempio con la famosa papaya hawaiana.

  14. alberto,
    Ciò che conta è la diffusione quantitativa delle resistenze nei campi e le eventuali (se eccessivamente diffuse, il che non mi pare sia il caso per i “BT-resistent super-insects”)
    Sono d’accordo. Per ora cinque specie di insetti sono resistenti alle Cry 1 e 2, e il boll weewil – resistente tutte quelle del Bolgard – si è diffuso solo nel Sud-est degli USA, credo.
    So che una resistenza accelera l’acquisizione di altre ma non so il meccanismo o se ce n’è uno uguale per tutte le specie. Sono usciti molti studi, qualche mese fa c’erano bibliografie negli speciali di Science e Nature sull’emergenza antibiotici, sopratutto in medicina e veterinaria. Se l’interessa per l’agricoltura, dovrebbe davvero chiedere a qualche specialista.

  15. Mi sembra utile precisare cosa intenda per “diffusione quantitativa”.
    Il numero di specie di “pesti” (insettacci o piantacce) è solo parzialmenterilevante;
    per quantificare il fenomeno serve il numero di individui (nel senso di stima percentuale della popolazione selvatica che ha acquisito la resistenza a questa o quella molecola) oppure, dato che ne deriva indirettamnet il numero di campi (sempre come % rispetto alla superficie coltivata con piante BT od RR o simili) dove si è stati costretti ad introdurre nuovi insetticidi od erbicidi per affrontare le pesti resistenti.
    Ad esempio cambia moltissimo se il 12% degli agricoltori negli USA che coltivano da anni mais o cotone BT sono ormai obbligati (per salvare l’ economicità del raccolto) ad utlizzare in maniera significativa più insetticidi del passato (e non com enumero ma come $ spesi per ettaro od acro) oppure se tale valore è lo 0,012%.
    Riguardo a ciò che lei dice di sapere sulle resistenze, a me sembra piuttosto che lei creda di saperlo, nel senso che la sua mi pare sia una generalizzazione non corretta di casi particolari.
    Comunque discorsi simili li ho effettuati sia con ogmofili (che in genere sottovalutano in maniera pregiudiziale il problema dell’ insorgenza delle resistenze) che con ogmofobi (in gran parte apocalittici sul problema) e mi sono convinto che una ragionevole verifica empirica della rilevanza quantitativa di tale problema consista nel vedere se nei prossimi anni gli ettari di questa o quella pianta transgenica negli USA resterano costanti, aumenteranno o diminuiranno. In quest’ ultimo caso (che non si è ancora verificato su scala adeguata) bisognerà poi considerare da quale tipo di sementi saranno sostituite quelle transgeniche di prima generazione.

    1. Alberto,
      “diffusione quantitativa”.
      Sono d’accordo, per questo aggiungevo che in USA le specie erano 5, e anche sul fatto che “credo di sapere” quello che leggo su riviste non specializzate come Science o Nature o nei comunicati WHO e OIE. Proprio per questo le suggerivo di sentire degli esperti.
      una ragionevole verifica empirica della rilevanza quantitativa di tale problema consista nel vedere se nei prossimi anni gli ettari di questa o quella pianta transgenica negli USA resteranno costanti, aumenteranno o diminuiranno.
      Qui sono meno d’accordo. Passare a colture non GM sarebbe invitare a nozze piante e insetti resistenti, cmq dipende anche da rapporti economici tra sementifici e aziende agricole e dai sussidi federali e statali. Sulla diffusione delle resistenze, mi sembrano più empirici i dati dello Stratus Glyphosate Resistance Tracking e altri studi finanziati dalle associazioni di categoria, oltre a quelli USDA.

  16. Grazie del suggerimento.
    Sul Tracking, sono informazioni utili ma direi complementari alla mia personale valutazione “alla buona”.
    Il punto è che conoscere la % di campi è infestata dall’ erbacce resistenti al roundup non è sufficiente, serve anche quantificare gli effetti (in termini di perdita del raccolto o di costi addizionali per trattamenti erbicidi) delle cosiddette “infestazioni”. Perché se no si continua a ragionare con la legge del tutto o del nulla (c’è infestazione = male; non c’è = bene).
    Per semplificare: se sugli ettari “infestati” coltivati a RR rispetto quelli non coltivati a RR i profitti medi dei coltivatori dei primi sono +10% o -10% rispetto ai secondi, l’ effetto in pochi anni sarà un abbandono o un NON-abbandono delle sementi RR.
    Infatti Monsanto può vendere solo ricavando dei profitti e pure i contadini devono necessariamente averli almeno in media (ossia lungo gli anni e su grandi numeri di coltivatori) mentre i sussidi federali non possono finanziare in maniera cospicua una tecnologia ex-vincente che si rivelasse ormai economicamente peggiore rispetto alla concorrenza.
    Riguardo al passaggio ad altre sementi nel caso di fallimento di quelle RR o BT da me citato, volutamente non ho definito il tipo di sementi, perchè queste possono essere sia tradizionali (ovviamente con utilizzo di erbicidi diversi dal roundup ed insetticidi “classici”) che transgeniche, sia di concorrenti di Monsanto (ad es. Syngenta con le “sue” sementi resistenti al “suo” erbicida) che di seconda generazione.
    Almeno ciò era la proposta di un paio di anni fa fatta al Senato USA dai servizi agronomici federali (certo senza citare Syngenta).

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