Leggere nella mente di Ian

Cari orecchietti di radiopop,

è quello che raccontavo ieri nel giornale, con i link.

Ian Burkhart è un 25enne rimasto paralizzato dal collo in giù dopo una frattura cervicale nel 2009, un po’ com’era accaduto all’attore Christopher Reeve. Due anni fa, è stato il  primo ad alzare un po’ la mano destra grazie a un microchip – il NeuroLife creato dal Battelle Memorial – impiantato nell’area corrispondente della sua corteccia motoria insieme a micro-elettrodi.

Quando Ian pensava un gesto, i neuroni si attivavano ancora come se lo stesse compiendo (il cervello è così plastico che i neuroni si adattano presto a svolgere altre funzioni) e, prima dell’operazione per l’impianto, la loro attività era stata mappata con la risonanza magnetica funzionale. La mappa è il modello-base per un programma di deep-learning che la traduce in stimoli da trasmettere al braccio in tempo reale, o quasi.

Su Nature, il chirurgo Ali Rezai (un emigrato, fuggito con i suoi dall’Iran nel 1966, quando aveva 10 anni… non trovate che assomiglia a Obama?), neuroscienziati, medici dell’università dell’Ohio e del Feinstein Institute for Medical Research, ingegneri e informatici del Battelle, descrivono 15 mesi di progressi. Sono piccoli, lenti, strazianti e insieme straordinari.

Due o tre volte alla settimana Ian è portato in laboratorio, il suo impianto viene collegato al computer, gli mettono una mezza manica con delle piastrine, alcune sono dei decoder che “informano” il programma sul risultato che ha ottenuto, altre gli trasmettono gli stimoli elettrici. Prova a imitare sei gesti (all’inizio glieli mostrano in un video) in sequenze via via più complicate. Prova per alcuni secondi, pausa di alcuni secondi per elaborare i dati in ingresso, elaborare le immagini delle riprese, controllare il risultato, ricalibrare. Riprova. Ripausa.

Per 3-4 ore compreso il tempo di allestire il tutto.

I gesti sono complicati, anche perché Ian ha perso il senso del tatto. Pensare di stringere una bottiglia e versare acqua in un bicchiere, o di rigirare un cucchiaino in una tazza richiede concentrazione e molte prove per arrivare agli stimoli che producono la presa giusta.

Ogni volta vanno rivisti gli algoritmi che coordinano gli stimoli elettrici, insomma ogni sessione è un nuovo esperimento. L’insieme di computer, mezza manica, monitor, cineprese, cavi elettrici ecc. è ingombrante, Ian non può indossarlo come una protesi. Però funziona. La lesione al midollo spinale non è riparata, però il collegamento tra i neuroni del cervello – le sue intenzioni – e i nervi del braccio, della mano e delle dita è ristabilito lo stesso.

Non c’era tempo, orecchietti, per aggiungere una cosa.

C’è stata una spettacolarizzazione per i media, è vero, e di solito avrei protestato. Ma Ian vuole davvero, mi sembra, essere il portavoce di questa ricerca, un po’ come Christopher Reeve per quella sui trapianti di cellule staminali. Con la differenza che dipende da lui, dalla fatica che ci mette, dalle frustrazioni che riesce a superare dopo i momenti di sconforto, di sfinimento che raccontava in conferenza stampa.

Parlava da pioniere, non da cavia, e trovo che i suoi “badanti” abbiano fatto bene a lasciargli la parola.

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O’s digest – Nature
– John Frank fa un’ipotesi da verificare statisticamente sull’origine della “pandemia di obesità”
The societies that experienced later and slower weight gains have, in my opinion, much stronger cultural attachment to traditional cuisines, now thought to be healthier than most modern foods.
– Stefano Pirandola e Samuel Braunstein chiedono un internet quantistico, basato sul teletrasporto (don’t panic, ci vorrà tempo)
– anche Jacob Sherkow protesta contro i brevetti prematuri per la tecnica CRISPR-Cas9 e altre
– i non fisici sono bravissimi a risolvere con l’intuito problemi tostissimi di fisica quantistica, hanno scoperto i fisici danesi che hanno inventato Quantum Moves, una serie di videogame alla quale hanno partecipato oltre 12 mila giocatori, commento di Elizabeth Gibney
– Joan Silk demolisce l’ultimo saggio di Frans De Waal sull’evoluzione delle facoltà cognitive nei primati, Are We Smart Enough to Know How Smart Animals Are?

A more satisfying book would leave readers with a clearer understanding of why, a few million years after our lineage diverged from the lineage of chimpanzees, we are the ones reading this book, and not them.

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Panama Papers, cui prodest?
Con Action Aid e Christian Aid, a novembre Oxfam ha pubblicato un rapporto sulle conseguenze dell’evasione e dell'”evitamento” fiscale, e definito cos’è per noi la “corporate responsibility“. Adesso Oxfam America descrive le pratiche evasive delle prime 50 multinazionali basate in USA e ne calcola i costi per i non miliardari in USA e nel resto del mondo.

Abstract: le Big 50 rastrellano sovvenzioni pubbliche e riducono il proprio contributo alla spesa pubblica di cui traggono i maggiori benefici.
I leak, la loro risonanza mediatica, perfino la storia della miliardaria indiana e dei suoi astrologi, ci sono utili. Nel nostro piccolo li usiamo per far casino, “advocacy” o “moral suasion” come denuncia Andrea Spinosa con disprezzo.

Risultato:
Government regulators, media watchdogs and civil society organizations are increasingly holding corporations accountable for their tax practices. High-profile investigations by policymakers and journalists in the US and in Europe have resulted in significant fines, and, perhaps more importantly, massive reputational hits.
Companies invest a huge amount in their public reputation, including significant corporate social responsibility efforts. But failure to pay their fair share of taxes imperils this good will. Companies that see themselves— and want to be seen by others—as responsible corporate citizens cannot dodge their tax obligations.

1 commento

  1. come denuncia Andrea Spinosa con disprezzo
    “Salvaguardate il vostro diritto di pensare, perché anche pensare male è meglio di non pensare affatto.”
    (Ipàzia d’Alessandria)

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