Predoni dell'open access

Jeffrey Beall racconta la sua esperienza nel compilare l’elenco di riviste ed editori più  meno truffaldini che proliferano in rete come conigli. Ne trae conclusioni a volte discutibili secondo me, ma milito per l’open access, al contrario di Beall, e al contempo sono stupefatta pure io dalla tolleranza per le contraffazioni dimostrata dalla comunità scientifica.

I was also always surprised at the extent to which researchers who had published in one or more of a predatory publisher’s journals became the publisher’s biggest defender. It’s as if they felt a sense of loyalty to the publisher

Of course, ma questo è il meno. Nella mia (molto più piccola) esperienza in Italia, a parte tre esempi virtuosi, le autorità accademiche difendono gli autori che si comprano patacche e rifiutano di dire se sono state pagate con fondi pubblici.

I think predatory publishers pose the biggest threat to science since the Inquisition.

Jeff, stai esagerando!

They threaten research by failing to demarcate authentic science from methodologically unsound science, by allowing for counterfeit science, such as complementary and alternative medicine (CAM) to parade as if it were authentic science, and by enabling the publication of activist science.  […]

There’s no longer a clear separation between the authentic and counterfeit medical research, even though medical research is the most important research for humankind today. Indeed, of all human endeavours, what surpasses medical research in importance, value, and universal benefit?

Sarei d’accordo se i grandi editori commerciali, a cominciare da Elsevier descritto da Beall come una povera vittima dei fanatici dell’open access, non avessero pseudo-riviste che pubblicano solo articoli pagati da BigPharma.

Beall accusa un po’ tutti di aver contribuito alla corruzione, maggioranza dei bibliotecari compresa

Academic librarians constantly attacked me because I dared to point out the weaknesses of the open-access publishing model. L

Ma la cosa interessante, trovo è che la sua soluzione è proprio quella preferita dagli scienziati che hanno denunciato l’oligopolio degli editori commerciali e il loro strozzinaggio:

To close, here are some thoughts on scholarly publishing’s future, a future in which I think preprint servers and overlay journals will play a role. Preprint servers, pioneered by arXiv.org are growing in number and are serving more scholarly fields. I expect this to continue. Compared to high-quality scholarly journals, they are inexpensive to operate – especially since they don’t have to manage peer review or do copyediting.

Già, ma c’è una bella differenza tra un archivio e una rivista. Chi gestisce la selezione, la peer-review, la correzione delle bozze, il lavoro redazionale – senza rivalità né conflitto d’interessi – di 2,8-3 milioni di articoli/anno? Come viene retribuito e da chi?
Sono servizi forniti a pagamento da agenzie a volte legate all’oligopolio e a volte truffaldine anch’esse.

Tim Gowers, che aveva lanciato la rivolta contro Elsevier, e le poche centinaia di matematici con la stessa specializzazione si conoscono tutti. Per loro scegliere un articolo di arXiv sui dieci che arrivano ogni mese, e trovare chi scrive “l’introduzione redazionale” su Discrete Analysis sarà facile. Nel campo delle staminali, mettiamo, come si fa? Chi controlla la competenza e l’integrità dei revisori?

Il boom demografico dei ricercatori e gli indici di produttività con i quali sono valutati dagli amministratori hanno reso impraticabile il ritorno al gentleman’s agreement basato sulla fiducia reciproca, auspicato da Beall.

E non è che prima dell’open access tutti fossero gentiluomini…

2 commenti


  1. Il boom demografico dei ricercatori

    Troppi laureati rubati all’agricoltura?

  2. ” Open-access repositories were formed, costing academic libraries huge sums of money in expensive software licensing costs, professional and support staff positions to manage them, and other, additional costs, yet faculty largely ignored their library-managed repositories, despite the fact that they could enjoy the dual-advantage of publishing in a respected, subscription journal and also have their work made open-access in the repository – or at least a post-print counterpart of it. Or was green open access really the great advantage its backer claimed it was?”
    I beg to differ:
    https://arxiv.org/stats/monthly_submissions
    Total number of submissions shown in graph as of June 15th, 2017 (after 25.9 years) = 1,271,186
    Infine fortunatamente lo cita.
    “Chi gestisce la selezione, la peer-review, la correzione delle bozze, il lavoro redazionale – senza rivalità né conflitto d’interessi – di 2,8-3 milioni di articoli/anno? Come viene retribuito e da chi?”
    Chi gia’ lo fa, gli scienziati… No?
    Io non capisco perche’ si ha bisogno di Elsevier, se l’editorial board e’ composto da scienziati, l’head editor e’ scienziato, Physical Review ce la fa molto bene con un personale molto risicato e pubblicano piu’ articoli del 90% dei giornali di Elsevier…
    Le associazioni nazionali di Biologi, Medici…etc… sponsorizzare le loro riviste? Comprare il marchio?

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