Un "ricercatore" impressionante

Noah è rimasto impressionato, e non è l’unico, da “Cambiamento climatico, meglio miliardi nell’auto elettrica o piantare alberi?“, un lungo e caotico predicozzo di Enrico Mariutti, “ricercatore” privo di pubblicazioni scientifiche e

  • analista in ambito economico ed energetico. Founder della piattaforma di microconsulenza Getconsulting e vice presidente dell’Istituto Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie

Le sue fantasie erano già state fatte a polpette un paio di mesi fa anche da Climalteranti. In breve,  da vero ambientalista progressista mentre gli altri son fasulli e reazionari, aveva una sua soluzione “pragmatica”, consensuale e già “pronta” per evitare un futuro riscaldamento globale e al contempo salvare dalla miseria i contadini del Terzo mondo. Consisteva in impianti di cattura del carbonio, tante centrali nucleari e reti elettriche più efficienti.
Questa volta inizia così:

  • Periodicamente si riaccende la polemica sull’origine del cambiamento climatico, che, come tutti i temi divisivi, coinvolge l’opinione pubblica, polarizzandola.
Polarizzati nel senso che 3 italiani su 4 concordano sull’origine antropica, e 8 su 10 considerano una priorità frenare i cambiamenti in corso.

  • L’ultima occasione è stata una petizione firmata da un gruppo di autorevoli scienziati
Abbagliato dalle (inesistenti) credenziali di Franco Battaglia et al., crede che siano equivalenti a quelle degli scienziati del clima che ne hanno smentito le bufale.

  • È evidente che situazioni del genere disorientano l’opinione pubblica: nessuno degli accademici è stato richiamato dai propri atenei, nessuna autorità indipendente ha preso posizione.
Ignora che la libertà di opinione vale anche per gli accademici, che tutte le autorità indipendenti del mondo hanno ribadito l’origine antropica dei cambiamenti climatici attuali. Ricopia banalità da prima liceo sul metodo scientifico (crede che ce ne sia uno solo) che fornisce una “certezza ragionevole” ma non  una “certezza al 100%”, prima di “puntualizzare” l’esistenza di un consenso fra i climatologi e ritenerlo irrilevante:

  • Partiamo da una semplice considerazione: anche se il cambiamento climatico fosse di origine naturale non sappiamo come evolverà.
Spende parecchi paragrafi a dimostrare il contrario citando ricostruzioni del massimo termico di 50 milioni di anni fa, come se fosse stato misurato con un termometro e non prodotto dai modelli e dai metodi specifici delle varie discipline. Proprio per questo, “sappiamo” come evolvono ghiacciai, livelli del mare, temperature ecc.

Un altro bigino sulle assicurazioni – che nei paesi ricchi trasformerebbero “l’incertezza in certezza” – lo porta a prendere una cantonata. “Sottovalutiamo” i rischi climatici perché

  • Il cambiamento climatico è un perfetto esempio di cigno nero. Un fenomeno epocale, a cui nessun uomo ha mai assistito prima, di cui sappiamo molto meno di quello che ignoriamo, che può sconvolgere il nostro ordine naturale, politico e sociale. E che nessuno poteva prevedere in tempo.
Accid… un laureato in storia antica non immagina nemmeno che da quando esiste la scrittura, sono stati documentati cambiamenti climatici a volte epocali, dal Diluvio agli “anni senza estate” conseguiti a enormi eruzioni vulcaniche e alla piccola era glaciale, passando dall’ottimo medievale.

Seguono logorroiche digressioni sulle tesi di Nassim Taleb, gli stress test imposte dalla BCE alle banche, l’importanza nel valutare i rischi di tener conto degli scenari peggiori, cosa che a suo avviso nessuno farebbe. Qualcuno lo avvisi dell’esistenza di  scenari come il RCP8.5  e dei lavori di economisti con e senza un premio Nobel…

Rispetto a due mesi fa però, sembra aver capito che
  • Anche se azzerassimo molto rapidamente le emissioni di origine antropica, infatti, le temperature non solo non inizierebbero a scendere ma, anzi, continuerebbero ad aumentare per almeno una decina di anni prima di stabilizzarsi.
Prosegue con l’accondiscendente plurale maiestatis, attribuendo a tutti la propria ignoranza:

  • Nel frattempo cosa succederebbe alle foreste, agli oceani, al permafrost o al ghiaccio marino, solo per fare qualche esempio? Non lo sappiamo.
Non lo sa lui, infatti il link porta al suo post di luglio. Ne ripete le sciocchezze sulle catastrofi economiche e sociali inevitabili nel caso di transizione a un’economia meno distruttiva e arriva al tema:

  • Facciamo un ultimo esempio pratico [sic], che illustri cosa vuol dire mettere il rischio al centro delle strategie di contrasto al cambiamento climatico: meglio investire nell’auto elettrica o in un massiccio programma di rimboschimento globale, come suggerisce un paper uscito il mese scorso su Science?
Non ha letto né il paper né le contestazioni al modello e agli assunti degli autori. Infatti con la certezza al 100% che non l’abbandona mai, risponde “Meglio piantare alberi” perché

  •  nella remota eventualità che il cambiamento climatico non dipenda dalle emissioni di origine umana, l’afforestamento produrrebbe comunque un abbassamento delle temperature globali schermando la superficie terrestre dalla radiazione solare, mentre la transizione verso la mobilità elettrica non produrrebbe alcun risultato.
Le abbasserebbe per chi stesse sotto gli alberi quando batte il Sole, come dice il suo link – fino al prossimo incendio;

  • Perché nel caso in cui, invece, il cambiamento climatico fosse strettamente correlato all’anidride carbonica, il rimboschimento ci permetterebbe di aggredire direttamente il problema, di ridurre la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera riportando le temperature su livelli ottimali.
Facciamo una colletta e gli compriamo un mappamondo? Gli oceani coprono il 70% del pianeta e contengono il 90% del riscaldamento globale. E per piantare alberi, gli sfugge, occorre sapere quali, dove, come e quando, è un lavoro specializzato che non basta a creare una foresta di cui gli alberi sono soltanto la parte più visibile.

Da parte di un
  • analista in ambito economico ed energetico.

mi sarei aspettata due conti, anche alla buona. Quanti trilioni servono per deportare le popolazioni dai territori da afforestare e risarcirle, mantenere milioni di persone competenti mentre piantano centinaia di miliardi di alberi, monitorare i risultati, introdurre specie animali e vegetali essenziali a una foresta ecc. E magari un confronto con i costi del passaggio alle auto elettriche.

Niente di niente. Ha infusa la certezza al 100% che sia molto più “economico” riafforestare mentre sarebbe impossibile e rovinoso rendere “i comparti industriali” meno inquinanti nel giro di 30-50 anni (come per creare una foresta resiliente).

Chissà come si spiega che le locomotive non vadano più a vapore e i pony-express a cavallo.

  • Perché l’afforestamento, al contrario della transizione verso la mobilità elettrica, è un’opzione a basso impatto economico, sociale e politico.
Un giorno dovrebbe indossare un giubbotto anti-proiettile e far un giro nelle foreste del Borneo, dell’Amazzonia o della Rep. Dem. del Congo.

  • Perché l’imboschimento non presenta alcuna incognita tecnologica, è una tecnica che padroneggiamo da millenni.

E’ vero l’esatto contrario.

Padroneggiamo la deforestazione dall’inizio dell’agricoltura. Negli ultimi 40 anni, si sono spesi centinaia di miliardi per riafforestare su vasta scala in Cina e nel Sahel, con il risultato in Cina che gli alberi sopravvissuti tolgono acqua all’agricoltura e nel Sahel che i pastori nomadi cacciano via con le armi i contadini dalle oasi rimaste in piedi nonostante le siccità.

(Le foreste crescono nella Russia nord-orientale quasi disabitata, e nell’Unione Europea dove sono gestite da specialisti ed esistono dati sufficienti per tenere in equilibrio un ecosistema reso fragile da molteplici fonti di inquinamento.)

Nel finale, il ricercatore” trova finalmente l’uscita del labirinto che ha costruito attorno all’alternativa “auto elettriche o foreste”. Si accorge che è priva di senso:

  • Le rinnovabili, l’auto elettrica e l’idrogeno sono pezzi di una rivoluzione industriale ed è velleitario pensare di ostacolarne lo sviluppo.
Non poteva accorgersene prima? In compenso non è riuscito a trovare una conclusione meno ottocentesca, tipo l’economia della conoscenza e dei servizi che sta già rivoluzionando la produzione industriale.

La mia ultima impressione è che Enrico Mariutti sia l’unico italiano a parlare di automobili e di economia senza sapere della “quarta rivoluzione industriale” o che “l’industria” sta già noleggiando veicoli, motori, mezzi agricoli e altri strumenti informatizzati invece di venderli. Facciamo una colletta e lo abboniamo al Sole-24 Ore?

*

Grazie, ho visto l’intervista a Massimo Cacciari sul Corriere, ma per oggi ho già dato. Se volete leggere qualcosa di meno dissennato, Paolo C. segnala il post di Dario Bressanini, pessimista ma paterno.

7 commenti

    1. Mario Pozzi,
      LOL! Mariutti non sa di cosa parla. “Potential Restoration” non vuol dire “Programma di riafforestazione”. Cribbio, ci poteva arrivare anche senza sapere l’inglese: nella prima riga della sua tabella, c’è scritto “tundra” che è l’esatto contrario di una foresta.
      A proposito di controllare i dati, lei ha controllato che quella tabella esiste nei Materiali Supplementari citati come “fonte”, vero?

  1. Beh dai, tree restoration sarebbe letteralmente ripristino degli alberi. Riforestazione mi sembra corretto ma ammetto che non sono un linguista.
    E’ la prima cosa che sono andato a controllare, non ci potevo credere. C’è!!!
    Appunto ti chiedevo. Rahmstorf come ha potuto prendere un abbaglio del genere!?!?!?!
    Non so se ho capito bene perché quel pezzo è contorto e non si capisce benissimo ma da quel che ho capito io Mariutti dice: Rahmstorf sostiene che i territori da riforestare sono tundra ma in realtà la tundra è solo una piccola parte dei territori da riforestare.
    Oh, almeno io ho capito così eh!

    1. Mario Pozzi,
      nel testo di Mariutti c’è una tabella con la tundra intitolata “Programma di afforestazione”, forse lei non l’ha vista.
      Se avesse controllato la fonte, si sarebbe accorto che il titolo del paper è “Il potenziale globale per il ripristino degli alberi”, mentre il titolo della tabella con la tundra è “Ripristino potenziale per bioma”. Tra l’altro nell’originale non ci sono le percentuali della superficie emersa coperta dai vari biomi.
      Non ho capito quale sarebbe l’abbaglio di Rahmstorf, di tundra non ha mai parlato. Quando ho tempo, elenco quelli di Mariutti.

  2. Al di la delle soluzioni forse non ideali proposte da Mariutti, quello che vorrei sapere è se è vero che in sostanza, lo sfruttamento delle risorse “Verdi”, sia effettivamente distruttivo di risorse naturali come indica Mariutti.

    1. Grazie Gianni S., anche per la promessa della seconda puntata.

      Valerio Balzarini, l’articolo dell’ing. Silvestrini risponde alla sua domanda.

I commenti sono chiusi.