La nostra nicchia climatica

Gratis sui PNAS, Chi Xu et al. partono da “massicci insiemi di dati” demografici, climatici, uso del suolo e produzione agricola, per stimare che dalla metà dell’Olocene a oggi ci siamo trovati bene a una temperatura media annua di circa 13 °C (11-15 °C). Niente di nuovo, è la “nicchia climatica umana” che gli economisti ritengono ideale per le nostre attività produttive, anche se non siamo più cacciatori-raccoglitori. Ma siamo già a 14,5 °C.
Con il riscaldamento in corso, si chiedono, cosa succederà tra 50 anni?

  • per lo scenario RCP8.5 business-as-usual [sic, prevedo proteste] del clima e tenuto conto dello sviluppo demografico atteso (scenario SSP3), circa 3,5 miliardi di persone… dovrebbero trasferirsi in altre zone nel caso la popolazione globale restasse distribuita per temperatura com’è successo nei millenni passati. Una forte mitigazione climatica secondo lo scenario RCP2.6 ridurrebbe sostanzialmente lo spostamento geografico della nicchia umana e quello dei suoi abitanti a circa 1,5  miliardi di persone…

Con lo scenario RCP8.5, circa 1,2 miliardi di persone vivrebbero in un caldo sahariano
Gli autori non trascurano l’adattamento reso possibile da progressi tecnologici, ma notano che le tecnologie già disponibili sono usate molto di rado nei paesi ricchi, e mai per rendere abitabile la nicchia del “Sud globale” dove la densità della popolazione è maggiore.
Modelli di ogni genere tentano di simulare le migrazioni dovute a cambiamenti climatici, tutti con limiti e incertezze enormi. Nella “Discussion”, gli autori riconoscono che anche il loro ha tanti difetti. E’ la parte più interessante – trovo – perché esplicita scelte etiche e politiche. Cito solo la fine:

  • Le migrazioni possono avere effetti benefici per le società, compresa una spinta alla ricerca e all’innovazione. Su scale più ampie tuttavia, causano inevitabilmente tensioni perfino adesso, quando circa 250 milioni di persone, un numero relativamente modesto, vivono fuori dal paese natale. Considerare i benefici della mitigazione del clima in termini di spostamenti potenziali evitati può essere un utile complemento alle stime di costi e benefici economici.

Rif. anche The Guardian. Per lo spostamento di specie invasive invece rif. Nature Climate Change.

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Stando alle stime pubblicate dall’Istat e dall’Iss, i decessi in eccesso dal 21 febbraio al 31 marzo superano del 47% quelli da covid-19 registrati dalla Protezione civile. Correzioni simili stanno succedendo in tutto il mondo, e vista la fascia di età più colpita, la reazione è spesso “ma erano anziani, sarebbero morti lo stesso”.

Sembra di no, stando a uno studio su 6.801 vittime italiane con età superiore ai 50 anni pubblicato da Wellcome Research  – in attesa di peer-review. Per calcolarne l’aspettativa di vita senza il coronavirus, gli autori le confrontano con i decessi in Scozia per la stessa fascia di età, e con la longevità media di 850 mila gallesi. Salvo 710 degli italiani con gravi malattie preesistenti, gli altri sarebbero vissuti circa altri 11 anni. In breve – e con le solite incertezze, non hanno i dati dei decessi nelle RSA, per esempio – nel loro modello una volta superati i 75-80 anni la maggioranza degli anziani non è cos’ “fragile”. Rif. anche l’Economist.

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A proposito del “modello svedese” per contenere l’epidemia – niente lockdown, risorse concentrate sulla protezione degli anziani e dei fragili – una ricercatrice di Stoccolma mi diceva che uno dei motivi della scelta è che “quasi metà della gente abita da sola, gli anziani e i fragili non escono di casa, quindi sono già isolati” (riassumo).

Metà? Ero un po’ incredula, invece è addirittura il 52% della gente. In compenso l’idea che anziani e fragili siano isolati non sembra così vera perché molti sono in RSA prive di personale e risorse per affrontare un’epidemia. Infatti le vittime sono molte di più in Svezia che in Norvegia e in Finlandia dove c’è stato il lockdown.

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Mauro Toffanin segnala la ricetta pubblicata su Nature da ricercatori dell’Istituto di virologia e immunologia all’università di Berna.

Serve per costruire “velocemente” una “piattaforma genomica sintetica” con la quale infettare del lievito di birra con pezzi di Rna virale – o con il Dna corrispondente – di intere famiglie di virus a Rna. La ricetta va seguito passo passo senza cambiare una virgola. Alla fine, gli autori sono riusciti a

  • ingegnerizzare e risuscitare cloni sintetizzati chimicamente del Sars-Cov-2 in una sola settimana a partire dal ricevimento dei frammenti di Dna sintetico. Il progresso tecnico che descriviamo permette di rispondere rapidamente a virus emergenti perché consente la generazione e la caratterizzazione funzionale di varianti evolutive di virus a Rna – in tempo reale – durante un’epidemia. 

Normalmente per la piattaforma si usano batteri come l’Escherichia coli, ma pare che i risultati siano troppo instabili. Perché l’E. coli è aploide?

Se questo ceppo con un Snp mutato del Sars Cov-2 fosse davvero più contagioso, converrebbe costruirne dappertutto…

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Sempre su Nature, David Cyranoski riassume quello che si è appreso finora della biologia del Sars Cov-2 e su quello che lo rende uno dei più spietati della famiglia Coronaviridae.

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Cade un’altra superstar

Laureata a 19 anni e con un dottorato in nanomateriali due anni dopo, Katerina Aifantis è famosa per esser stata la più giovane ricercatrice a ricevere un grant milionario dallo European Science Council a soli 24 anni. Sennonché… il seguito da Leonid Schneider.

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