Uno "con", nove "per"

L’Istat è “titolare dell’Indagine sui decessi e cause di morte che fornisce le statistiche ufficiali di mortalità per causa”. Ieri ha pubblicato “i principali risultati delle analisi condotte su 4.942 schede di morte delle 31.573” arrivate entro il 24 maggio dalla rete di sorveglianza Covid-19.

Sono dati provvisori, la pandemia non è finita, il campione delle schede è rappresentativo, certo, ma è probabile che i risultati finali cambino un po’.

Il rapporto – 12 paginette con altrettanti grafici e tabelle più 6 pagine di “nota metodologica” – è scritto per noi dummies. Consiglio di stamparlo e distribuirlo agli esperti della domenica, pregandoli di guardare almeno le figure a colori prima di attaccare un altro bottone.

In sintesi:

  • COVID-19 è la causa direttamente responsabile della morte nell’89% dei decessi di persone positive al test SARS-CoV-2, mentre per il restante 11% le cause di decesso sono le malattie cardiovascolari (4,6%), i tumori (2,4%), le malattie del sistema respiratorio (1%), il diabete (0,6%), le demenze e le malattie dell’apparato digerente (rispettivamente 0,6% e 0,5%).
  • La quota di deceduti in cui COVID-19 è la causa direttamente responsabile della morte varia in base all’età, raggiungendo il valore massimo del 92% nella classe 60-69 anni e il minimo (82%) nelle persone di età inferiore ai 50 anni. 
  • COVID-19 è una malattia che può rivelarsi fatale anche in assenza di concause. Non ci sono infatti concause di morte preesistenti a COVID-19 nel 28,2% dei decessi analizzati, percentuale simile nei due sessi e nelle diverse classi di età. Solo nella classe di età 0-49 anni la percentuale di decessi senza concause è più bassa, pari al 18%.
  • Il 71,8% dei decessi di persone positive al test SARS-CoV-2 ha almeno una concausa: il 31,3% ne ha una, il 26,8% due e il 13,7% ha tre o più concause.  Associate a COVID-19, le concause più frequenti che contribuiscono al decesso sono le cardiopatie ipertensive (18% dei decessi), il diabete mellito (16%), le cardiopatie ischemiche (13%), i tumori (12%). Con frequenze inferiori al 10% vi sono le malattie croniche delle basse vie respiratorie, le malattie cerebrovascolari, le demenze o la malattia di Alzheimer e l’obesità. 

Ho evidenziato i dati che contraddicono le opinioni scambiate per “fatti” e le correlazioni scambiate per “fattori di rischio” in pubblicazioni scientifiche all’apparenza, nei media più creduloni e al bar sotto casa.

Sul manifesto, in fondo a un ottimo sunto dal titolo pessimo, Andrea Capuozzo scrive

  • La ricerca metterà fine al dibattito tra chi minimizza l’impatto del Covid e chi invece consiglia cautela? Improbabile. Con il superamento dell’emergenza, il dibattito tra ottimisti e prudenti si è spostato dalle riviste scientifiche ai talk show estivi, dove una frase a effetto vale più di mille evidenze scientifiche.

Per una volta, non sono d’accordo con lui. Da quello che mi dicono, nei talk show è così da fine gennaio.

O’s digest in tema
Su Science di oggi:

  • gli epidemiologi americani protestano perché, per motivi di privacy, ci sono troppi “buchi” nei dati dei singoli stati sul covid-19;
  • sono esterrefatti dalla decisione di Trump di affidare la raccolta nazionale e l’eventuale comunicazione di quei dati a una succursale della Palantir di Peter Thiel (!);
  • Kai Kupferschmidt raccoglie interpretazioni sull’effetto positivo o meno per noi delle mutazioni del Sars Cov-2. (Ricordavo che gli umani lo avevano trasmesso ai visoni negli allevamenti olandesi, ma non che i visoni l’avevano rimandato al mittente);
  • Jennifer Couzin-Frankel et al. confrontano le strategie adottate in una ventina di paesi per la riapertura delle scuole (solo per abbonati, ma sapete dove trovarmi);
  • sempre in tema di genetica, Ana Gonzalez-Reiche et al. rintracciano l’origine dei Sars Cov-19 che hanno causato le covid censite dal Mount Sinai Health System di New York. (Spoiler alert: “il virus è stato introdotto indipendentemente molte volte dall’Europa e da altrove negli Stati Uniti”);
  • a proposito di opinioni scambiate per “fatti” e correlazioni scambiate per ecc.,  il modello epidemio-climatico di Rachel Baker et al. conferma quello che sta avvenendo “di fatto”:
  • anche se le variazioni meteorologiche possono essere importanti nelle infezioni endemiche [per es. l’influenza], durante la fase pandemica di un patogeno emergente  il clima cambia di poco la dimensione della pandemia. Un’analisi preliminare delle misure di contenimento non farmaceutiche [mascherine, distanziamento ecc.] indica che possono moderare l’interazione clima-pandemia, riducendo la popolazione suscettibile [di essere contagiata]. I nostri risultati suggeriscono che senza misure di controllo effettive, forti epidemie sono probabili nei climi più umidi e che l’estate non limiterà sostanzialmente lo sviluppo della pandemia. 

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Dimmi quello che mangi…
Via l’Economist, raccomando anch’io il paper in open access di Saer Samanipour et al. su Environmental Science and Technology Letters.
In Australia, scrivono, i liquami negli impianti di depurazione contenevano già – sotto forma di metaboliti di cibi, bevande, farmaci, integratori, dolcificanti, droghe ecc. – buona parte dei dati socio-economici raccolti durante il censimento della popolazione.
Campionare e analizzare liquami costa molto meno di un censimento, e in molti paesi viene già fatto di routine per molti marcatori usati da Saminapour et al.

2 commenti

  1. Indagine interessante, soprattutto perché ben diversa da quello che alcuni dichiaravano attraverso i mezxi di informazione.
    Unica nota:
    “Le schede di morte Istat sono compilate da un medico curante o da un medico necroscopo che è tenuto a riportare l’intera sequenza di malattie o eventi traumatici che hanno portato al decesso, ed indicare eventuali altre patologie rilevanti che hanno contribuito ad esso pur non facendo parte di tale sequenza”
    “È tenuto a scrivere” e “la sa tutta” sono due cose diverse, specie quando pare che di autopsie se ne facessero pochine. Per quanto, i risultati mi convincono.

    1. Cimpy,
      Già, nobody’s perfect, ma non conviene aspettare che tutti i medici e tutti i pazienti lo diventino, le probabilità sono troppo basse!

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