Letture on demand. Per la prima, almeno due avvertenze: è un preprint e gli autori hanno un conflitto di interessi perché hanno chiesto brevetti su nuovi anticorpi monoclonali e su come ottenere le varianti “chimeriche” del Sars Cov-2 che descrivono. Da gennaio, la domanda è “le sue mutazioni lo rendono più o meno pericoloso?”. La risposta è a p. 8 sotto il titolo:
- Natural occurrence of antibody-resistance RBD mutations
Forse sì. Non limitano la capacità del virus di sfruttare la proteina S (quella in cima ai suoi scovolini) per legarsi al recettore ACE-2 – receptor binding domain, RBD – della membrana, penetrare nelle cellule e riprodursi. Un problema affrontato da parecchi vaccini in corso di sperimentazione.
(A proposito… Su Nature Ecology & Evolution, ho letto un articolo molto interessante, e gratuito, sullo sviluppo, ancora un po’ fantascientifico dal poco che ho visto in giro, di vaccini “auto-disseminanti” destinati agli animali portatori sani o malati di zoonosi. Sono vaccini trasmessi nella loro comunità da un vettore contagioso ma non patogeno come un citomegalovirus, oppure trasferibili per contatto ravvicinato e per grooming.)
Forse i vaccini funzioneranno lo stesso. Per ora le mutazioni riguardano i tre anticorpi più diffusi nel plasma dei convalescenti. Ma sono molti di più (c’è una grande variabilità individuale) e almeno alcuni potrebbero avere un’efficacia “neutralizzante”.
E’ una risposta molto preliminare. Negli oltre 50 mila genomi disponibili ai primi di giugno, gli autori hanno trovato 2175 mutazioni diverse, “non sinonime”, nelle sequenze genetiche riguardanti la proteina S del virus, e ne hanno testato una parte nelle proprie chimere come se fossero indipendenti. Nelle popolazioni virali “naturali”, non è detto che lo siano – secondo me, forse perché ho in mente le aspettative suscitate dalle mutazioni dell’HIV…
Aggiorn. Nature ha appena messo on line un paper di Alan Braun e molti altri (quasi tutti dell’ospedale La Charité di Berlino):
- Our study demonstrates the presence of S-reactive CD4+ T cells in COVID-19 patients, and in a considerable proportion of SARS-CoV-2 unexposed HD [35% dei donatori di sangue non contagiati]. In light of the recent emergence of SARS-CoV-2, our data raise the intriguing possibility that such pre-existing S-reactive T cells represent cross-reactive clones, probably acquired in previous infections with endemic HCoVs. HCoVs account for approximately 20% of “common cold” upper respiratory tract infections, are ubiquitous, but display a winter seasonality.
E’ uno studio su 21 pazienti con Covid-19 lieve tamponati all’ospedale il 1 e il 2 aprile, e 68 donatori; età media dei donatori 42 anni e dei pazienti 52,6 – da replicare altrove adesso che si sa cosa cercare e come farlo perché sono probabili “differenze regionali”. E ci sono anche implicazioni per l’efficacia dei vaccini.
Noi adulti ci prendiamo un raffreddore da almeno quattro coronavirus diversi ogni due o tre anni d’inverno, e abbiamo difese recenti o “ricordate” dal sistema immunitario che potrebbero proteggerci dal Sars Cov-2 per “reazione incrociata” anche se gli anticorpi non sono identici. Magari spiega anche l’alta percentuale di positivi asintomatici.
Com. stampa della Charité in tedesco.
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La seconda è un paper uscito sul Lancet-Respiratory Medicine che tende meno agli scoop azzardati della rivista madre. E’ uno studio retrospettivo senza conflitti d’interesse e con i limiti ben esplicitati, di oltre 10 mila pazienti adulti ricoverati tra il 26 febbraio e il 19 aprile in 920 ospedali della Germania. Avevano una mutua nazionale che copre un terzo della popolazione – e dei ricoveri – ma di più quella anziana, un “bias” indicato dagli autori.
Non c’è stato un eccesso di pazienti rispetto ai posti disponibili nelle unità di cure intensive nemmeno durante il picco di fine marzo, eppure in quel primo periodo la mortalità media è uguale a quella della Francia anche nella suddivisione per età:
- Nell’insieme la mortalità ospedaliera è stata del 22% (2229 su 10?021), con un’ampia variazione tra i gruppi (table 1, figure 3A). Era del 16% (1323 su 8294) per i pazienti senza ventilazione meccanica e del 53% (906 su 1727) con ventilazione meccanica (non-invasiva 45% [65 su 145], fallimento della ventilazione non-invasiva 50% [70 su 141], e ventilazione meccanica invasiva 53% [696 su 1318]; appendix p 3).
La durata media della ventilazione meccanica era di 13,5 giorni. Conclusione
- Con risorse illimitate [unrestrained], un numero piccolo ma notevole di pazienti anziani e di pazienti con co-morbidità può sopravvivere a forme severe di Covid-19, ma nel caso di una seconda e forte ondata della pandemia, permanenze più lunghe potrebbero ridurre le capacità ospedaliere.
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Via il Guardian, sui Proc. Royal Soc. B ho letto un bel paper sul contributo rispettivo delle api e dei bombi selvatici (le cui popolazioni continuano a calare) e delle api da miele nell’impollinazione di mandorli, meli, ciliegi (2 tipi), mirtilli, angurie e zucche in USA. Si dividono il lavoro circa a metà – l’efficienza dell’Apis mellifera d’allevamento risulta molto sopravvalutata – per un valore aggiunto da parte delle specie selvatiche di circa $1,5 miliardi/anno, soltanto per quelle varietà.
Morale:
- Nei casi in cui l’impollinazione è un fattore limitante [delle rese], potrebbe essere di scarso beneficio spendere grandi quantità di denaro nel controllo dei patogeni (le fattorie americane spendono circa $9 miliardi/anno in pesticidi), fertilizzanti (circa $23 miliardi), acqua o altre pratiche senza trovare anche il modo di ridurre quel fattore limitante.
Già, ma le specie selvatiche non sono in vendita.
Buonasera.
Le segnalo qualche informazione sulle api e sul loro stato di salute in giro per il mondo, un breve bigino piuttosto documentato e l’autore è ben disponibile al confronto:
https://giornalismocomunicazione.wordpress.com/2020/09/30/le-api-einstein-e-i-troppi-falsi-miti/
Grazie Corrado, ma non saprei su che cosa confrontarmi. Qui cito una ricerca fatta da altri, non da me, sugli apoidei selvatici in USA e non sulle api domestiche nel mondo.
Ha scritto Lei “delle api da miele nell’impollinazione di mandorli, meli, ciliegi (2 tipi), mirtilli, angurie e zucche in USA”, pensavo la segnalazione fosse attinente (anche perchè non riesco ad aprire l’articolo del Guardian per leggerlo, riesco a visualizzare solo l’abstract).
L’autore dell’articolo del mio link si è occupato anche dello stato di salute delle api negli USA, se cerca i suoi “vecchi” articoli linkati in quello da me segnalato. E anche dell’addestramento di api a impollinare prioritariamente la specie voluta, l’ultimo della lista è:
https://agronotizie.imagelinenetwork.com/zootecnia/2020/09/24/addestratori-di-api/67998
C’è anche questo, nel caso volesse darci un’occhiata:
https://agronotizie.imagelinenetwork.com/difesa-e-diserbo/2020/09/08/api-e-voci-fuori-dal-coro/67725
Grazie Corrado, appena finisco gli articoli scientifici arretrati e i libri da recensire, vado a dare un’occhiata.
I ricercatori dicono che le specie selvatiche declinano e le api domestiche sono più deboli. Ma siccome queste contribuiscono soltanto alla metà dell’impollinazione, le coltivazioni con una resa in calo sono quelle dove mancano le specie selvatiche. Scrivono che in California i mandorli sono impollinati da api domestiche, e la produzione continua ad aumentare.
Non mi sembra in contraddizione con quello che scrive Donatello, su che cosa dovrebbero confrontarsi? (Io non c’entro!)
Uno studio pubblicato qualche mese fa accusava l’apicoltura del declino degli impollinatori selvatici: in modo diretto, in quanto trasmette patologie agli altri imenotteri impollinatori, e con l’apicoltura transumante diffonde in maniera motlo efficiente le patologie; in modo indiretto sottraendo il polline ambientale anche a tutti gli altri impollinatori.
Le api domestiche sono più deboli per un insieme di fattori, ambientali e umani: cambiamento climatico, transumanze, uso di farmaci veterinari negli alveari in modo approssimativo, protocolli della lotta contro la varroa vecchi di decenni (l’ultimo protocollo nazionale, uscito a maggio, se ben ricordo era di poco diverso dal precedente, che si ripeteva da anni), imprevedibilità della pressione della varroa stessa sulle famiglie, bassa diversità genetica delle popolazioni, perdita delle popolazioni locali, inquinamento da polveri sottili e altre sostanze … Trova queste informazioni nell’ultimo link che Le ho segnalato, io ho riassunto (spero in maniera non troppo approssimativa).