Prescrizione vs. partecipazione

Menu di oggi: mugugno con incise.

Con Silvia S. di Action Aid, parliamo degli “scopi del millennio” che l’Onu deve stabilire entro l’anno, tra i quali ridurre fame e denutrizione e garantire la sicurezza alimentare. Nell’inserto di Science che citavo ieri, come nelle altre cose che leggo – forse me lo immagino, ma non credo – il tema comune è la disuguaglianza: reddito, diritti, accesso al sapere, al potere contrattuale e intellettuale, figurarsi ai beni materiali.
Con l’information technology, pensavo 20 anni fa e temo di averlo pure detto in pubblico, la lunga marcia verso la pari dignità – poter farsi “a good life according to one’s capabilities” per dirla con Amartya Sen – si sarebbe accorciata, ma sembra allungarsi ancora di più…

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Su Nature del 1 maggio, Tom MacMillan – direttore dell’innovazione alla Soil Association – e Tim Benton – il capo di Food Security UK – invitavano gli agronomi a “Coinvolgere i contadini nella ricerca”, con “laboratori sul campo”.

E’ il metodo chiamato “participatory breeding” che Salvatore Ceccarelli ha applicato con successo per decenni nei paesi aridi e poveri; nel mondo 10 milioni di contadini sono già coinvolti; s’è svegliata anche l’Unione europea con un apposito programma al quale partecipano anche agricoltori organici italiani.
Il problema è noto, la popolazione continuerà ad aumentare, ma:

la resa media globale è aumentata del 56% tra il 1965 e il 1985 e del 20% dal 1985 al 2005, grazie a input crescenti di risorse non rinnovabili. Ma i progressi rallentano. Stando a uno studio del 2013, nelle principali regioni produttrici di cibo la resa è rimasta stabile, compresa nell’Asia orientale (riso) e nell’Europa del nord-ovest (frumento). In alcuni paesi, le rese sono calate.

Le multinazionali mirano all’omogeneizzazione delle pratiche, per vendere dappertutto le stesse macchine, sementi, fertilizzanti, pesticidi. Invece i contadini hanno esigenze specifiche, scrivono Tom & Tim, e insieme ai ricercatori che ne tengono conto producono spesso “innovazioni a basso costo”:

Quando i contadini producono conoscenza, sono più disposti ad adottare nuove pratiche ed è più probabile che il loro sapere sia rilevante nelle condizioni locali…

Un’ovvietà, infatti ci sono un sacco di iniziative di ricerca e sviluppo “bottom up”. Da confrontare con lo “Sconvolgimento digitale in fattoria” di cui parla l’Economist.

Lo ha fatto calare dall’alto la Climate Corporation, fondata nel 2006 da due impiegati di Google. Da allora costruiscono un database: sulla mappa dei 25 milioni di campi statunitensi, sovrappongono tutte le info sul clima e i suoli che riescono a trovare. Per ora, 150 miliardi di osservazioni sui suoli e 10 mila miliardi di “punti” per la simulazione meteo (hanno anche versioni beta di modelli climatici a 3-5 anni, pare, mi piacerebbe proprio vederle…).

La mappa ha generato il metodo “prescriptive planting”, il quale programma le macchine le quali nello stesso campo piantano varietà diverse a distanza e profondità diverse per ottenere la resa ottimale, tenuto conto delle previsioni del tempo – queste calcolate sulle rilevazioni satellitarie, e vendute da altre società – e del feedback fornito dai sensori.

Bref, Monsanto ha combinato quella mappa con il proprio data-base: una “biblioteca” di centinaia di migliaia di sementi e di studi sulle loro rese. Per due anni ha sperimento la sua super-mappa con alcuni agricoltori, il mais ha reso un 5% in più.
Quindi l’anno scorso Monsanto ha comprato Climate Corporation e nel frattempo, le altre BigAgro si erano adeguate.

In USA, il participatory breeding di Salvatore Ceccarelli è stato capovolto. I partecipanti forniscono i dati grezzi, il software ci aggiunge il sapere e ne deriva la “prescrizione” da vendere ogni anno agli agricoltori insieme a sementi, fitofarmaci, programma per stagioni e magari la marca della macchina da attaccare al trattore, compatibile con il programma. Tutto ciò può aumentare la resa del mais del 20-25%, dice Monsanto.

Gli agricoltori americani non sono affatto ricchi, quasi tutti campano con un secondo lavoro, il 20% in più farebbe una bella differenza. Senza contare che nel 2050 saremo in 9 miliardi. L’IT ci sfamerà, problema risolto.

Invece si stanno ribellando contro le “corporations” che si sono impossessate dei loro dati. La ribellione è partita dal Texas, dove è nata la Grower Information Services Cooperative che dovrebbe contrattare con i data providers.

Non conviene dirlo ai texani, però mutatis mutandis somiglia a quella creata con l’aiuto del CABI dai plant doctors pakistani… Tira e molla, Climate Corporation ha creato un deposito-dati gratuito, per i contadini-clienti che sono gli unici a poterci accedere.

L’Economist è a favore di un’agricoltura evidence-based – e chi non lo è? – e del libero mercato che sforna “tecnologie promettenti” un giorno sì e l’altro pure. Trova che gli agricoltori siano dei conservatori, un tantino ottusi, non capiscono che siamo entrati “nell’economia della conoscenza”.

Però alla fine riconosce il “bigger problem” comune alle multinazionali del “prescriptive planting” e alle BigData companies in generale:

i contadini diffidano delle società che spacciano questo nuovo metodo.

Tace sui motivi della diffidenza, i contratti capestro che BigAgro ha imposto nei decenni scorsi agli agricoltori per impedire loro di cambiare fornitori – e non solo in USA.

C’è un’alternativa: la mappa delle proprietà dei suoli coltivabili, così come l’ha progettata Pedro Sanchez: open source e open access, da interrogare con un cell per ricevere consigli che prendono in considerazione le pratiche locali. Non per comprare una “prescrizione” del tipo tot quintali di sementi X, di diserbante X-1 e di fertilizzante X-2, tempi e dosaggi.

2 commenti

  1. La storia del prescriptive planting non la conoscevo, è uno scenario da incubo.

  2. Riccardo,
    infatti vorremmo parlarne ad Action Aid perché non lo conosce nessuno, credo che ci sia solo in USA. Dev’esserci un esperimento dell’Empraba in Brasile, ma l’ho perso!
    Comunque va detto che DuPont Pioneer ha una politica più soft…

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