Big data locali e globali

Al Politecnico di Milano, hanno creato un  Atlante delle “post-metropoli”, per ora in versione beta ma già con valanghe di dati – circa 500 indicatori – raggruppati in tre “aree tematiche”. Fa pensare che anche “Milano città metropolitana” sia pensata scala un po’ stretta, la provincia sotto un altro nome.

Immagino che l’Atlante farà comodo ai governanti locali, anche se la disomogeneità temporale dei dati e il fatto che arrivano solo al 2012 potrebbe essere un problema, comunque anche un’abitante qualunque può passarci una giornata (le pagine ci mettono parecchio  a caricarsi se prima non si filtra per indicatore) a guardare come cambia il suo territorio.
Bel lavoro, complimenti intanto.

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Il mese scorso è uscito il Global Index di Nature, ennesima classifica dei paesi e degli istituti con un Weighted Fractional Count più complesso del solito, comunque basato sulle pubblicazioni nelle riviste più citate, per macro-aree disciplinari. (Questo grafico rende l’idea, trovo.)

L’ho guardato solo adesso, anche qui ci sarebbe da passarci la giornata! Gli Stati Uniti sono tuttora campioni di “alta qualità” e nettamente dominanti in bio-med, tallonati da Cina e il Giappone in chimica e fisica. C’è il solito “paradosso”: l’Italia non ha neppure un ente di ricerca fra i primi cinquanta al mondo, dal 1994 i governi tagliano i fondi alla ricerca, eppure è 11° al mondo, subito dopo la Spagna che dall’inizio del secolo investe  molto di più nei “centri di eccellenza”: il suo CNR è 27°, quello italiano è 69° in calo del 13% rispetto al 2013.

Sarebbe una lettura da raccomandare al Presidente del Consiglio se gli interessasse la scienza, invece della FuF…

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Paradossalmente, su Nature di oggi l’editoriale e una “world view” di James Winsdon, il coordinatore di un rapporto appena uscito in Gran Bretagna, “Independent review of the role of metrics in research assessment”, mettono in guardia contro le metriche per valutare la qualità di paper, proposte e ricercatori. Dall’editoriale:

Scientists like to grumble about the peer-review system for judging research quality, but there is one sure way to make most of them defend it: suggest that peer review should be replaced with numerical measures of academic output. (…) The problem is that most of these metrics tools lack transparency. At the heart of the system, databases of academic outputs and citations are not publicly accessible or auditable. And the indicators built on top of these databases can also be black boxes (…) 

Such opacity can lead to distrust, negating the very advantage of metrics over qualitative assessment as objective, open measures of research performance.

Nella world view, James Wisdon rigira il coltello nella piaga:

Metrics evoke a mixed reaction from the research community. A commitment to using data and evidence to inform decisions makes many of us sympathetic to, even enthusiastic about, the prospect of granular, real-time analysis of our own activities. If scientists cannot take full advantage of the possibilities of big data, then who can?
Yet we only have to look at the blunt use of metrics such as journal impact factors, h-indices and grant-income targets to be reminded of the pitfalls.  (…) Too often, poorly designed evaluation criteria are distorting behaviour and determining careers. 

Penso che la redazione di ROARS sarebbe d’accordo.

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Raccomandato alle Ong, l’articolo di Keith Shepherd et al. anche loro molto critici, non tanto sulla vaghezza delle definizioni quanto sul come sono stati stabiliti i

Sustainable Development Goals (SDGs) — a set of 17 goals and 169 targets to guide international development.

Propongono 5 criteri per misurare la scelta e l’esito – bayesiani per lo più, quindi concordo:

We call on the delegates of the Financing for Development conference in Addis Ababa to establish a task force to explore our approach. We recommend that some of the aid money earmarked for improved monitoring of the SDGs be directed to establishing this initiative. Forward-looking governments, especially in data-sparse countries, should consider pioneering decision-analysis approaches.

Temo che sia troppo tardi, le riunioni preliminari sono iniziate ieri.

Ho qualche dubbio sul quinto criterio “Measure the most informative variables”. Da un lato è ovvio, dall’altro la densità  di informazione in una variabile dipende da decine di altre, e anche da giudizi morali e culturali secondo me. Shepherd et al. scrivono:

Quantities for which there is already a great deal of information, such as financial costs, are more likely to be tracked but cannot influence decisions because there is little left to learn about them. Less common variables such as social and long-term benefits (such as on mental health) and environmental impacts (such as water pollution from soil erosion) may be of greater value.

Vengono in mente altri esempi: libertà e diritti personali, l’equa possibilità di realizzare le proprie capabilities per dirla con Amartya Sen ecc. Cmq è un articolo da far girare fra i responsabili dell’advocacy che si ritrovano ad Addis Abeba. (Ma l’India, che fa, la bella statuina?)

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Sul serio?

Il 1 luglio, Fabio Fontana della Taopatch annunciava che avrebbe promosso il suo adesivo biofotonico a nanotubi di carbonio e a quantum dot stabili per >2 anni, da 210 euro il paio (recensione rimmel) e corso da 599 euro per diventare “applicatore certificato” – durante la convention “Assistenza ed esigenze dell’anziano e della famiglia oggi: priorità e necessità” organizzato da “Progetto assistenza ” alla Cascina Triulza sabato prossimo.

Nel programma non ho trovato né la “convention” né un “Progetto assistenza” e le Ong alle quali ho chiesto info non ne sanno nulla. Qualcuno ne ha sentito parlare?

Se non è invitato anche il titolare della Zener che vende 12 patch altrettanto terapeutici per 10 euro –  e pure l’Acqua strutturata –  vado a protestare…

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Ieri i Concerned Scientists americani hanno pubblicato The Climate Deception Dossiers, commento di Ken Kimmel. Spoiler alert: da una serie di documenti interni di BigOil, ottenuti durante processi o con il Freedom of Information Act, risulta che da 30 anni BigOil propina bufale sul risc. glob. sapendo di mentire e paga altri per propinarle. Sul Guardian, Suzanne Goldenberg cita alcuni passi succulenti.

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Recurring Furydi Lewandowsky et al. che segnalavo ieri produrrà una nuova ondata di furia complottistica ricorrente da parte di neghisti, bigoilisti e globalcoolisti?

Rif. Retraction Watch, e i commenti ricorrenti del furioso n. 1 subito fatti a polpette; Hot Whopper (di nuovo), Greg Laden, Dana Nuccitelli, e da S. Lewandowsky himself altro commento furioso del frustrato n. 1…

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Per i piccoli lettori, Oggi Scienza pubblica l’ultima missiva di Oppy, la Maratoneta marziana aspirante Pulitzer, al suo bradipino Philae.

5 commenti

  1. Dipende molto come vengono gestite le affiliazioni anche. In Italia è molto tipico, imho più che altrove, avere multiple affiliazioni (università + INFN, università + CNR…etc…).
    Già questa tabella già rispecchia di più la mia esperienza rispetto alle solite (anche se mi stupisce non vedere l’INFN…
    Sono state prodotte dall’INFN 3880 pubblicazioni nel 2014:
    http://www.infn.it/pubblicazioni/prodottiAnno.php?anno=2014&nanni=1&button=Invia
    Di cui la metà circa dalla commissione nazionale teorica che da sola guiderebbe quasi la classifica delle scienze fisiche per numero (e garantisco sulla qualità), ma non compare in tabella.

    1. Andrea,
      penso che dipenda dal peso delle riviste nel WFC, Quantum Gravity – per dire – ha un IF 3,1 vs 41 per Nature che pubblica anche fisica nel senso di scienze della materia, cioè CNR.

      Riccardo,
      idem per il sistema scolastico americano, per l’Italia posso solo sospirare con te! The irony è che Nature pubblichi sia proteste contro l’abuso delle metriche, sia metriche proprie…
      D’altronde tutto vogliono indici, classifiche, metriche e non vanno bene a nessuno, guarda le polemiche su quelle per gli Scopi dello sviluppo sostenibile, quali benchmark, come li calcoli, che peso hanno rispetto agli altri ecc.

  2. Gli americani si chiedono se l’ossessione per le top-qualcosa valga un sistema universitario che mediamente non eccelle affatto e gli inglesi, invece, riconoscono che così come sono le valutazioni bibliometriche non funzionano. Noi, tipicamente, non siamo capaci di fare tesoro delle esperienze altrui e ci muoviamo in direzione ostinatamente contraria.

    1. frrfrc,
      “rimmel” è un’abbreviazione ochesca. Sta per toglietevi il rimmel ché vi verrà da ridere – sopratutto per la reazione dell’inventore alla sua recensione, citata anche su Oggi Scienza.

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